
Primi anni novanta. La biblioteca dove studiavamo, in centro, chiudeva puntualmente alle ore 23.
Tale limite temporale ritualizzava il mio ritorno a casa, il chiosco sui viali che chiudeva mentre passavo, la pubblica illuminazione che si affievoliva alle 23 e15 e Mario Luzi che rincasava, abitudinario pure lui nelle uscite serali.
Lo incrociavo puntualmente tra via Arnolfo e via Quintino Sella; abitava infatti qualche centinaio di metri più avanti rispetto alla mia casa paterna.
Una notte di febbraio, preso coraggio, lo salutai… “Buonasera Professore”… cortese, ricambiò.
Divenne, così, quel saluto nel buio di Bellariva, una bellissima luce, che si “riaccendeva” almeno due o tre volte a settimana.
Aveva quasi ottant’anni, Mario Luzi, e camminava sicuro e spedito, d’inverno anche incurante del freddo, senza sciarpa o cappello. Una sera di pioggia accettò (era senza ombrello !) uno strappo fino a casa.
Restammo qualche minuto a parlare: mi complimentai per le riflessioni che aveva scritto, qualche giorno prima, a commento della Via Crucis romana del venerdì Santo; tanto servì per rompere il ghiaccio. Mi presentai come laureando in Medicina, raccontandogli però, emozionato, dei miei studi classici al Liceo Galileo che pure lo aveva visto studente mezzo secolo prima. “Lo vedi, mi disse bonario, quante cose abbiamo in comune, oltre all’ora in cui andiamo a dormire ?”
Foscolo, Leopardi, Manzoni, D’Annunzio li avevo sui libri; Luzi , quella sera, nella mia macchina … ed ero felice.
Quando una persona è famosa o molto nota /apprezzata, noi la osserviamo come su un piedistallo, quando, invece , la stessa persona la conosciamo nella sua quotidianità, la sentiamo più simile a noi, più vicina, e la apprezziamo maggiormente ( come è successo a te) Un abbraccio…
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