Visual Thinking Strategies for medico-anatomical teaching and rheumatological diagnostics: the case of M. L. Greville Cooksey’s Maria Virgo (1915)

Quanto è  utile lo studio diagnostico di personaggi immaginari o rappresentazioni artistiche, applicando il rigore metodologico della medicina clinica?

In altre parole, è didatticamente efficace tentare di formulare una diagnosi  su personaggi letterari o come nel caso trattato nell’articolo, figure dipinte in opere d’arte?

Questo articolo esplora l’applicazione delle Visual Thinking Strategies (VTS) nell’insegnamento medico-anatomico e nella diagnostica reumatologica, dimostrandone l’efficacia.

Tale pratica, infatti, serve ad allenare l’osservazione medica, sviluppare il pensiero critico e la discussione clinica, stimolando lo studente a formulare ipotesi, diagnosi differenziali e ragionamenti, anche in assenza di anamnesi e sintomi dichiarati. Inoltre ha il pregio di integrare medicina, arte e cultura umanistica.

Il metodo viene impiegato nel corso di Medicina dell’Università di Firenze in un caso studio che riguarda il dipinto Maria Virgo (1915) della pittrice preraffaellita May Louise Greville Cooksey.
L’analisi interprofessionale dell’opera, che ritrae una Madonna con mani nodose, ha portato a una discussione clinica sulle possibili diagnosi: artrosi nodulare, artrite reumatoide, xantomatosi, reticoloistiocitosi multicentrica e knuckle pads.
Quest’ultima è risultata l’ipotesi più plausibile.

I noduli fibrotici dorsali delle nocche (knuckle pads) sono lesioni benigne, dure, tondeggianti, non dolorose, situate soprattutto sul dorso delle articolazioni interfalangee prossimali e, meno frequentemente, metacarpofalangee. Sono formate da tessuto fibrotico sottocutaneo e possono essere associate a patologie fibrosanti come la contrattura di Dupuytren, oppure essere idiopatiche. Non alterano la funzionalità articolare e non sono infiammatorie. Istologicamente mostrano ipercheratosi, acantosi e proliferazione fibroblastica.

L’articolo sottolinea come l’integrazione tra arte e medicina, attraverso la VTS, favorisca nello studente lo sviluppo del cosidetto occhio clinico, indispensabile nella pratica medica.


Lippi, D., Cammelli, D., Zucchini, E., Vignozzi, L., Galassi, F. M., Belviso, I., Paternostro, F. & Varotto, E. (2025).
Visual Thinking Strategies for medico-anatomical teaching and rheumatological diagnostics: the case of M. L. Greville Cooksey’s Maria Virgo (1915).
Italian Journal of Anatomy and Embryology 129(1): 3-8. doi: 10.36253/ijae-16176

Serve la Logica in Medicina ?

Le Soluzioni corrette derivano dall’Inferenza, e l’inferenza si consolida con lo Studio. Lo studio fornisce le conoscenze di base, le regole e i principi fondamentali. L’inferenza permette di collegare le informazioni e trarre conclusioni secondo logica.

L’inferenza è il processo logico attraverso cui si trae una conclusione a partire da premesse o informazioni disponibili. In altre parole, è il procedimento mentale che consente di dedurre qualcosa in base a ciò che si sa già.
Esistono diversi tipi di inferenza. L’inferenza deduttiva parte da principi generali per arrivare a una conclusione specifica, come nel caso dell’affermazione “Tutti gli uomini sono mortali. Socrate è un uomo. Quindi Socrate è mortale”.
L’inferenza induttiva generalizza da casi particolari, ad esempio osservando molti cigni bianchi e concludendo che tutti i cigni siano bianchi, anche se questa inferenza potrebbe essere errata.
L’inferenza abduttiva ipotizza la spiegazione più probabile per un dato fenomeno, come quando si vede il terreno bagnato e si suppone che abbia piovuto.

Le soluzioni e le risposte corrette derivano da una deduzione accurata, basata su conoscenze solide e un ragionamento preciso. Questo processo si autoalimenta: più si studia, più si affina la capacità di deduzione e maggiore è la probabilità di arrivare a risposte giuste.

La logica permea tutta la Medicina, dalla diagnosi alla terapia, fino alla ricerca e alla bioetica.
Nella diagnosi differenziale, il ragionamento logico aiuta a escludere o confermare ipotesi basandosi su segni, sintomi e dati clinici. La deduzione permette di collegare sintomi, dati clinici e risultati degli esami per formulare una diagnosi e un piano terapeutico. L’induzione consente di formulare teorie generali partendo dall’osservazione di casi singoli.
La logica guida le decisioni terapeutiche, applicando trattamenti sulla base di linee guida, evidenze scientifiche e condizioni del paziente.
È essenziale in epidemiologia e statistica per interpretare studi clinici, valutare il rischio di malattie e comprendere la significatività dei risultati.
Il pensiero logico aiuta a risolvere dilemmi etici, come nel caso dei trapianti e del fine vita, attraverso l’analisi razionale di benefici, rischi e valori coinvolti.

Tuttavia, in Medicina la deduzione da sola non basta: l’errore è sempre in agguato. Per questo servono anche la Pratica clinica, il confronto con i Colleghi e un Aggiornamento continuo. Senza evidenza scientifica, la deduzione in Medicina diventa fragile e potenzialmente pericolosa, portando a diagnosi e terapie basate su intuizioni soggettive o credenze non verificate.
La Medicina senza evidenza scientifica rischia di trasformarsi in empirismo, basato solo sull’esperienza personale, che può essere fuorviante, in dogmatismo, in cui si accettano teorie senza metterle alla prova, o in una medicina non verificata, come accade in molte pratiche alternative prive di studi solidi.

Senza studio e senza evidenza, la deduzione può condurre a errori gravi.
Per questo la Medicina moderna si basa sul metodo scientifico.
L’osservazione è il punto di partenza e si basa sull’analisi di segni, sintomi e dati clinici. Ad esempio, un medico può notare che diversi pazienti con una certa patologia presentano un sintomo comune.
A partire da questa osservazione, viene formulata un’ipotesi su una possibile causa, correlazione o terapia.
Per verificare l’ipotesi, si procede alla sperimentazione attraverso studi clinici controllati, esperimenti in laboratorio o indagini epidemiologiche.
Infine, la revisione continua assicura che i risultati vengano analizzati, pubblicati e sottoposti a revisione da parte della comunità scientifica. Se confermati, entrano nelle linee guida; se smentiti, l’ipotesi viene modificata o abbandonata.

Questo approccio garantisce che le pratiche mediche siano sempre aggiornate e fondate su dati solidi, riducendo errori e migliorando l’efficacia dei trattamenti.
Il metodo scientifico è faticoso e impegnativo, ma è l’unico modo per garantire cure sicure ed efficaci. Ogni passo richiede tempo e risorse, rendendo il processo necessariamente lento. Tuttavia, questo grande lavoro si traduce in sicurezza per tutti noi Pazienti.

Anatomia e Bellezza alla Biblioteca delle Oblate di Firenze, tra ricerca, insegnamento, arte e innovazione

Nella suggestiva cornice della Biblioteca delle Oblate di Firenze, si è svolta la presentazione del libro Anatomia Fotografica, realizzato con Carlo Benedini e con il prezioso imprimatur di Alessandro Palazzolo, mentore dell’intero progetto. Serata resa speciale dal Pubblico attento e affettuosamente partecipe e dalla presenza di Ester Andrieri e Alessandro Castelli, in rappresentanza della Casa Editrice Piccin, che ha da sempre e convintamente creduto nel progetto.

L’evento è stato molto più di una semplice presentazione editoriale: è stato un racconto di passione, ricerca e amicizia, i tre pilastri che hanno reso possibile la realizzazione di quest’opera. Abbiamo condiviso con i nostri ospiti, l’avventurosa storia della nascita del libro, un volume che unisce la fotografia d’arte alla descrizione didattica dell’Anatomia settoria, offrendo un antico ma attualissimo punto di vista sulla complessità del corpo umano.

La guida ideale del nostro racconto è stato Leonardo da Vinci, il cui genio si avvertiva tra le sale della biblioteca. A soli cinquanta metri dalle Oblate infatti, presso l’Ospedale di Santa Maria Nuova, Leonardo conduceva le sue dissezioni, costruendo la fondamenta di conoscenze che ancora oggi sono alla base dell’arte, della didattica e della ricerca biomeccanica.

L’Anatomia macroscopica non è solo una disciplina descrittiva, ma un campo in cui la ricerca e la didattica si intrecciano continuamente. Il dettaglio delle strutture del corpo è essenziale per la Medicina e la Chirurgia ma è anche un affascinante territorio di esplorazione per chi, come gli autori di Anatomia Fotografica, vuole raccontarla attraverso nuove prospettive visive e narrative.

Da secoli, lo studio del corpo umano si basa sull’osservazione diretta, sulla riproduzione e sulla condivisione di conoscenze. Oggi, grazie a strumenti innovativi come la fotografia ad alta definizione e le nuove tecnologie digitali, è possibile portare questa esperienza oltre i confini delle aule, rendendola accessibile a un pubblico sempre più ampio e trasmettendo emozioni e saperi.

Un libro per un progetto: Visceral Room

Alla base di questo lavoro non c’è solo un interesse scientifico e culturale, ma anche un profondo sodalizio tra chi scrive, Carlo e Alessandro. Questa feconda collaborazione ha dato vita non solo a Anatomia Fotografica, ma anche a Visceral Room, un progetto innovativo che esplora nuove modalità di rappresentazione e insegnamento dell’Anatomia clinica, topografica e settoria, unite alla teoria e alla pratica degli atti manipolativi in ambito osteopatico e fisioterapico.

La serata alle Oblate è stata quindi la celebrazione di una passione condivisa, di un sapere che si rinnova, si tramanda e che ha reso possibile la realizzazione di un’opera (mi permetto di definire) assolutamente unica nel suo genere.

Una copia del libro è da oggi disponibile in consultazione e prestito presso la Biblioteca fiorentina.

Valutazione delle proprietà biomeccaniche e viscoelastiche dei muscoli masticatori nei disturbi temporo-mandibolari. Approccio centrato sul paziente utilizzando le misure di MyotonPRO

Della Posta, D.; Paternostro, F.; Costa, N.; Branca, J.J.V.; Guarnieri, G.; Morelli, A.; Pacini, A.; Campi, G. Evaluating Biomechanical and Viscoelastic Properties of Masticatory Muscles in Temporomandibular Disorders: A Patient-Centric Approach Using MyotonPRO Measurements. 
Bioengineering 202512, 97.
https://www.mdpi.com/2306-5354/12/2/97

L’articolazione temporo-mandibolare (ATM) è essenziale per le funzioni di masticazione e di fonazione, oltre che per la realizzazione delle espressioni facciali. Tuttavia, questa articolazione può essere colpita da disturbi, noti come disordini temporomandibolari (TMD), indotti da cause complesse che portano a limitazioni nelle attività quotidiane.
Basandosi sulla metodologia e sui risultati del nostro precedente studio sulla funzione dell’ATM, la nostra ricerca si propone di applicare i criteri e le norme stabiliti ai pazienti con TMD. L’obiettivo primario è valutare l’applicabilità e la rilevanza clinica di queste norme di riferimento nel predire la gravità e la progressione dei disturbi dell’ATM in una popolazione clinica.
Utilizzando misurazioni miotoniche non invasive, abbiamo valutato 157 soggetti, tra cui individui non affetti da TMD e affetti da TMD. Per ottenere risultati ottimali, cinque parametri primari (frequenza, rigidità, decremento, tempo di rilassamento e creep) sono stati analizzati con strumenti statistico-fisici, fornendo gradi di funzionalità quantitativa tra i diversi gruppi clinici esaminati.
I risultati hanno identificato marcatori quantitativi significativi per la diagnosi precoce e il trattamento personalizzato dei disturbi dell’ATM.
Questo approccio interdisciplinare porta a una comprensione più approfondita delle disfunzioni dell’ATM e offre un contributo significativo alla pratica clinica, fornendo strumenti più precisi per la gestione e il trattamento di questa complessa condizione.

Il doppio volto di Leonardo: il segreto della Gioconda

Tra il celebre ritratto della Monna Lisa, custodito al Louvre, e il presunto autoritratto di Leonardo da Vinci, conservato nella Biblioteca Reale di Torino, esiste un’affascinante e misteriosa corrispondenza che sta alimentando nuovi studi sull’opera del genio fiorentino.

L’autoritratto in questione, realizzato a sanguigna su carta intorno al 1515, raffigura un uomo anziano con una folta barba e un’espressione intensa e riflessiva. Nonostante sia spesso considerato una rappresentazione di Leonardo negli ultimi anni della sua vita, alcuni studiosi hanno messo in dubbio l’autenticità di questo autoritratto. Tuttavia, la recente scoperta della sovrapposizione perfetta con il volto della Monna Lisa ha riacceso l’interesse su questa ipotesi.

Effettuando una semplice operazione grafica – ribaltando orizzontalmente il disegno e sovrapponendolo al ritratto della Monna Lisa – si osserva una coincidenza sorprendente: i contorni dei due volti, incluse le proporzioni del naso, degli occhi e delle labbra, combaciano quasi in modo speculare. Questo dettaglio rafforza l’idea che Leonardo abbia volutamente progettato le due opere come elementi complementari di un unico messaggio visivo.

La Monna Lisa, realizzata tra il 1503 e il 1519, è nota per il suo enigmatico sorriso e per il suo sguardo che sembra seguire l’osservatore da qualsiasi angolazione. La donna ritratta ha ispirato infinite interpretazioni, alcune delle quali suggeriscono che dietro il suo volto si celi proprio un autoritratto velato di Leonardo stesso. La sovrapposizione con il disegno senile sembra confermare questa teoria e aggiunge un ulteriore strato di complessità simbolica.

Il risultato di questa fusione va oltre la semplice coincidenza artistica. Il volto della Monna Lisa, unendosi a quello dell’uomo anziano, sembra subire una metamorfosi temporale: la giovane donna diventa un uomo maturo, suggerendo un passaggio inevitabile dal femminile al maschile, dalla giovinezza alla vecchiaia. Questa trasformazione non è solo fisica, ma anche simbolica, poiché evoca il concetto di fluidità delle identità e la coesistenza delle energie opposte.

Leonardo potrebbe aver nascosto, attraverso queste due opere, un messaggio che trascende il tempo e le categorie sociali: il genere, l’identità e il tempo sono costruzioni illusorie, percezioni superficiali che nascondono una verità più profonda. Maschile e femminile, giovane e anziano, vita e morte sono semplicemente polarità estreme della stessa realtà.

Questo pensiero si collega direttamente ai principi dell’ermetismo, corrente filosofica che Leonardo conosceva bene. Secondo questi insegnamenti, ogni dualismo apparente è un’illusione: gli opposti non esistono in forma separata, ma sono solo variazioni dello stesso principio universale. Maschile e femminile coesistono in ogni individuo, così come luce e ombra, e insieme garantiscono l’equilibrio dell’intero universo.

Attraverso il suo duplice capolavoro, Leonardo sembra volerci invitare a guardare oltre le divisioni e le etichette, per riconoscere che tutte le polarità fanno parte di un’unità essenziale. Quella che percepiamo come separazione è solo un’illusione della mente e la vera saggezza sta nel riscoprire l’armonia nascosta dietro le apparenze.

📹 / robertedwardgrant (Instagram)

Chronic mastitis or breast cancer in The Charity by Francesco Salviati? An educational discussion

In questo articolo, il dipinto La Carità di Francesco de Rossi, noto come Salviati (1510-1563), viene studiato attraverso una prospettiva multidisciplinare che unisce Anatomia umana, Paleopatologia e Storia dell’Arte.
Sebbene non sia possibile formulare una diagnosi definitiva a causa della natura artistica dell’opera, le anomalie anatomiche rappresentate nel dipinto sono esaminate considerando due ipotesi principali: mastite cronica o tumore al seno.
Questo studio evidenzia ancora una volta come l’incontro tra Medicina e Arte possa offrire un prezioso contributo sia alla comprensione delle malattie del passato sia all’educazione dei futuri Medici, aiutandoli a sviluppare un più attento occhio clinico.

Paternostro, F., Lippi, D., Zucchini, E., Nori, J., Galassi, F.M., Nerlich, A.G., & Bianucci, R. (2024).
Italian Journal of Anatomy and Embryology 128(2): 55-60.
https://doi.org/10.36253/ijae-15580

Upper Eyelid Ptosis During Neuromodulator Injections. An Exploratory Injection and Dissection Study

Ferdinando Paternostro, Wei-Jin Hong, Guo-Sheng Zhu, Jeremy B. Green, Milan Milisavljevic,
Mikaela V. Cotofana, Michael Alfertshofer, S. Benoit Hendrickx, Sebastian Cotofana

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jocd.16631

Aesthetic neuromodulator injections of the upper face are frequently performed to temporarily block muscular actions of the periorbital muscles to ultimately reduce skin rhytids. However, the adverse event rate in the literature for toxin-induced blepharoptosis ranges from 0.51% to 5.4%.

To identify access pathways by which injected neuromodulator product can travel from extra-to
intra-orbital and therefore affect the levator palpebrae superioris muscle.

Nine non-embalmed human body donors were investigated in this study with a mean age at death of 72.8 (16.1) years. The 18 supraorbital regions were injected in 28 times (14 for supratrochlear and 14 for supraorbital) with 0.5 cc, whereas eight cases (four for supratrochlear and four supraorbital) were injected with 0.1 cc of colored product. Anatomic dissections were conducted to identify structures stained by the injected color.

The results of this injection-and dissection-based study revealed that both the supratrochlear and the supraorbital neurovascular bundles are access pathways for injected neuromodulator products to reach the intra-orbital space and affect the levator palpebrea superioris muscle. Out of 36 conducted injection passes, seven (19.44%) resulted in affection of the sole elevator of the eyelid of which 100% occurred only at an injection volume of 0.5 cc and not at 0.1 cc.

Clinically, the results indicate that a low injection volume, a superficial injection for the supraorbital location, and angling the needle tip away from the supratrochlear foramen (toward the contralateral temple) when targeting the corrugator supercilii muscles, can increase the safety profile of an aesthetic toxin glabellar treatment.


Paternostro, F., Hong, J., Zhu, S., Green, J. B., Milisavljevic, M., Cotofana, M. V., Alfertshofer, M., Hendrickx, S. B., & Cotofana, S. Simulating
Upper Eyelid Ptosis During Neuromodulator Injections—An Exploratory Injection and Dissection Study.
Journal of Cosmetic Dermatology. https://doi.org/10.1111/jocd.16631


https://www.instagram.com/professorsebastiancotofana

https://www.cotofanaanatomy.com/

Bridging the Gap Rather Than Filling the Entire Valley—Anatomic Insights When Treating the Medial Infraorbital Region

Francesco P. Bernardini, Brent Skippen, Raul Cetto, Mariana Calomeni, Sebastian Cotofana, Simone Ugo Urso, Ferdinando Paternostro, Morris E. Hartstein
Journal of Cosmetic Dermatology

The treatment of the medial infraorbital region also termed the tear trough has become increasingly popular by the use of soft tissue fillers in a minimally invasive approach using a cannula.

A total of 246 tear troughs were injected and investigated originating from 123 study participants. The clinical outcome was evaluated 6 months after the treatment by independent observers based on standardized frontal images and the procedure was documented by ultrasound imaging.

On average, 0.26 (0.1) cc [range: 0.08–0.32] of soft tissue filler material was injected per tear trough. Tear trough depth was before the treatment rated as 2.12 (0.4), whereas after the treatment it was 1.15 (0.4) (p < 0.001). Hyperpigmentation score was 2.19 (0.4) before the treatment, whereas after the treatment it was 1.31 (0.5) (p < 0.001). Intraorbital fat pseudo-prolapse severity was rated before the treatment 1.88 (0.7), whereas it was rated after the treatment 1.14 (0.3) (p < 0.001). Wrinkle severity of the lower eyelid was rated before the treatment 1.51 (0.6), whereas it was rated after the treatment 1.12 (0.3) (p < 0.001).

The results of this retrospectively investigated case series revealed that the conducted injection technique for treating the tear trough for medial infraorbital hollowing with a cannula provided statistically significant clinical improvement with a limited adverse events profile. The technique utilized an injection approach which was perpendicularly oriented to the longitudinal axis of the tear trough thereby “bridging the gap instead of filling the entire valley.”

Bernardini, F., Skippen, B., Cetto, R., Calomeni, M., Cotofana, S., Urso, S., Paternostro, F. and Hartstein, M. (2024), Bridging the Gap Rather Than Filling the Entire Valley—Anatomic Insights When Treating the Medial Infraorbital Region. J Cosmet Dermatol. https://doi.org/10.1111/jocd.16582

OCCHIALI … DA SOLO !

Togliere gli occhiali da sole quando si parla con gli altri è considerato, a ragione, un segno di buona educazione. Questo semplice gesto permette di stabilire un contatto visivo diretto, fondamentale per la comunicazione empatica. Gli occhi, infatti, leggono e trasmettono emozioni ed attenzione, e mantenere il contatto visivo aiuta a costruire una connessione profonda con l’interlocutore.

Ricorderete analogamente che, in epoca COVID, anche l’uso della mascherina riduceva la capacità di percepire le espressioni facciali, rendendo più difficile le relazioni interpersonali.

Il riconoscimento facciale basato su punti di riferimento, come il triangolo formato da occhio-occhio-naso o orecchio-orecchio-mento, è una tecnica utilizzata in molti algoritmi di visione artificiale. Gli occhi e il naso sono zone chiave del viso; gli algoritmi, come i modelli di reti neurali convolutive, individuano i punti precisi dove si trovano le pupille e la punta del naso. Similmente, gli algoritmi possono individuare le orecchie e il mento come punti di riferimento. Una volta identificati occhi, naso, orecchie e mento, questi punti vengono sfruttati per creare dei triangoli immaginari. La distanza e gli angoli tra questi punti possono essere unici per ogni individuo, quindi vengono utilizzati per creare una “firma” facciale. Poi, le misure e gli angoli dei triangoli vengono normalizzati per compensare variazioni di scala, rotazione e prospettiva. Ciò significa che il sistema è in grado di riconoscere un volto indipendentemente da quanto sia vicino o lontano o dall’angolo di vista. Se c’è una corrispondenza sufficientemente alta rispetto a volti già in memoria, il nuovo volto viene riconosciuto come appartenente a una determinata persona. Se non c’è corrispondenza, il volto può essere classificato come sconosciuto. Questa tecnica viene utilizzata in vari contesti, come il riconoscimento facciale nei sistemi di sicurezza, nelle applicazioni di autenticazione biometrica e nella sorveglianza.

Qualcosa di simile fa anche il nostro cervello, estremamente abile nell’identificare e riconoscere volti, basandosi su punti chiave come gli occhi, il naso, la bocca e la distanza tra questi. Anche se non calcoliamo esplicitamente i triangoli o le distanze, riusciamo ad analizzare automaticamente le relazioni spaziali tra questi punti. Come gli algoritmi di riconoscimento facciale, anche il cervello utilizza le proporzioni tra i diversi elementi del volto (ad esempio, la distanza tra gli occhi e il naso o tra le orecchie e il mento) per distinguere un volto da un altro. Questa analisi avviene in una regione chiamata area fusiforme dei volti (FFA), che è specializzata proprio nel riconoscimento facciale.
La Fusiform Face Area si trova nel giro fusiforme, nella parte inferiore del lobo temporale, lungo la superficie ventrale di entrambi gli emisferi, ma è spesso più attiva nell’emisfero destro. E’ specializzata nel riconoscimento dei volti e nella discriminazione di caratteristiche facciali, giocando un ruolo cruciale nella nostra abilità di identificare e ricordare volti familiari.
Il cervello dunque immagazzina informazioni sui volti che abbiamo già visto, associandole a una memoria visiva. Quando vediamo un viso, la FFA confronta queste informazioni con quelle memorizzate per determinare se questo è familiare o meno. Tuttavia non si limita a elaborare singoli punti o proporzioni, ma utilizza sia un’elaborazione globale (l’aspetto generale del volto) sia un’elaborazione locale (dettagli specifici come un neo o una cicatrice). Questo ci rende molto efficace nel riconoscimento, anche in condizioni non ideali (ad esempio, con poca luce o visione da angoli insoliti).

Il riconoscimento facciale nel cervello umano è estremamente rapido. Entro pochi millisecondi, possiamo identificare se un volto è familiare, se appartiene a una certa età o sesso, e anche riconoscere espressioni facciali che indicano emozioni. A differenza degli algoritmi, noi siamo in grado di adattarci e apprendere continuamente. Questo significa che, anche se le proporzioni di un volto cambiano (ad esempio, a causa dell’invecchiamento), siamo ancora in grado di riconoscere la persona.

Quindi, la prossima volta che indossiamo gli occhiali da sole e vogliamo o dobbiamo incrociare lo sguardo con  qualcuno, togliamoceli; dietro ogni volto c’è una storia unica da scoprire. Connettiamoci, sorridiamo e lasciamo che la nostra umanità brilli, perché, in fondo, è questo che ci rende davvero riconoscibili!

Nella figura in giallo è evidenziato il giro fusiforme. Lesioni bilaterali (ma anche solo a livello dell’emisfero destro) impediscono il corretto riconoscimento dei volti. Questo deficit è conosciuto come prosopoagnosia.

Prognosis and Chances of Recovery in Bell’s Palsy

Niccolò Fagni, Ferdinando Paternostro, Jacopo Junio Valerio Branca, Lorenzo Salerni, Marco Mandalà.

The Bell’s palsy was firstly described about two century ago by the neuroanatomist Charles Bell. This paralysis affects the VII cranial nerve and, up to date, the aetiology of the disease appears to be multifactorial.

In the present manuscript, focusing on the anatomical structures related to the VII nerve, such as its the stapedial muscle innervation, we highlight the role of impedance testing as a helpful examination for the facial nerve function, together with its role as effective and safe prognosis in Bell’s palsy by the stapedial reflex.

Vol. 3 No. 2 (2024): evolution of vascular access. Infermieristica Journal

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