Ferdinando Paternostro, Wei-Jin Hong, Guo-Sheng Zhu, Jeremy B. Green, Milan Milisavljevic, Mikaela V. Cotofana, Michael Alfertshofer, S. Benoit Hendrickx, Sebastian Cotofana https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jocd.16631
Aesthetic neuromodulator injections of the upper face are frequently performed to temporarily block muscular actions of the periorbital muscles to ultimately reduce skin rhytids. However, the adverse event rate in the literature for toxin-induced blepharoptosis ranges from 0.51% to 5.4%.
To identify access pathways by which injected neuromodulator product can travel from extra-to intra-orbital and therefore affect the levator palpebrae superioris muscle.
Nine non-embalmed human body donors were investigated in this study with a mean age at death of 72.8 (16.1) years. The 18 supraorbital regions were injected in 28 times (14 for supratrochlear and 14 for supraorbital) with 0.5 cc, whereas eight cases (four for supratrochlear and four supraorbital) were injected with 0.1 cc of colored product. Anatomic dissections were conducted to identify structures stained by the injected color.
The results of this injection-and dissection-based study revealed that both the supratrochlear and the supraorbital neurovascular bundles are access pathways for injected neuromodulator products to reach the intra-orbital space and affect the levator palpebrea superioris muscle. Out of 36 conducted injection passes, seven (19.44%) resulted in affection of the sole elevator of the eyelid of which 100% occurred only at an injection volume of 0.5 cc and not at 0.1 cc.
Clinically, the results indicate that a low injection volume, a superficial injection for the supraorbital location, and angling the needle tip away from the supratrochlear foramen (toward the contralateral temple) when targeting the corrugator supercilii muscles, can increase the safety profile of an aesthetic toxin glabellar treatment.
Paternostro, F., Hong, J., Zhu, S., Green, J. B., Milisavljevic, M., Cotofana, M. V., Alfertshofer, M., Hendrickx, S. B., & Cotofana, S. Simulating Upper Eyelid Ptosis During Neuromodulator Injections—An Exploratory Injection and Dissection Study. Journal of Cosmetic Dermatology. https://doi.org/10.1111/jocd.16631
Il pene è costituito da tre strutture principali cilindriche di tessuto erettile. I due corpi cavernosi sono strutture parallele che si estendono lungo la maggior parte dell’organo e sono fondamentali per l’erezione. Sono costituiti da un tessuto spugnoso che contiene numerosi spazi cavi, detti sinusoidi. Quando il pene è flaccido, i sinusoidi sono vuoti, ma durante l’eccitazione sessuale si riempiono di sangue grazie alla dilatazione delle arterie. Questa espansione dei sinusoidi permette l’ingrossamento e l’irrigidimento del pene. I corpi cavernosi sono rivestiti da una membrana resistente chiamata tunica albuginea, che svolge un ruolo importante nel mantenere la rigidità dell’erezione grazie alla sua elasticità limitata, assicurando che la pressione interna rimanga alta e mantenendo l’erezione.
Il corpo spongioso, un terzo cilindro situato nella parte inferiore del pene, circonda l’uretra, il canale attraverso cui viene espulsa sia l’urina che lo sperma. Il corpo spongioso è più morbido rispetto ai corpi cavernosi e non si espande allo stesso modo durante l’erezione, il che evita una compressione eccessiva dell’uretra, garantendo il passaggio dello sperma durante l’eiaculazione. Nella parte terminale, il corpo spongioso si espande per formare il glande, la parte arrotondata e sensibile all’estremità del pene.
L’erezione dipende dalla coordinazione tra il sistema vascolare, il tessuto erettile e il sistema nervoso. Queste strutture lavorano in sinergia per consentire l’afflusso e il mantenimento del sangue nei corpi cavernosi. Il tessuto dei corpi cavernosi e del corpo spongioso è altamente vascolarizzato e costituito da sinusoidi (spazi vascolari) circondati da muscolatura liscia. Durante l’erezione, questi sinusoidi si riempiono di sangue e la pressione interna aumenta, causando la dilatazione e l’inturgidimento del pene.
Le arterie principali sono le arterie cavernose, che si trovano all’interno dei corpi cavernosi, e le arterie dorsali, situate lungo la parte superiore del pene. L’ossido nitrico (NO), rilasciato in seguito alla stimolazione sessuale, provoca il rilassamento della muscolatura liscia delle arterie cavernose, permettendo un maggiore afflusso di sangue. Inoltre, le vene che normalmente permettono il ritorno del sangue vengono compresse dal rigonfiamento del tessuto erettile, riducendo il deflusso e mantenendo l’erezione.
La funzione erettile è regolata dal sistema nervoso autonomo, che include sia il sistema parasimpatico sia il sistema ortosimpatico. Il sistema parasimpatico è principalmente responsabile dell’inizio dell’erezione attraverso il rilascio di ossido nitrico e la conseguente dilatazione delle arterie. Il sistema ortosimpatico, al contrario, modula l’erezione e provoca la detumescenza, cioè il ritorno allo stato flaccido. Quando lo stimolo sessuale diminuisce o interviene il sistema ortosimpatico (ad esempio, a causa di stress o paura), la muscolatura liscia delle arterie si contrae, il flusso di sangue diminuisce, le vene si riaprono e il pene ritorna allo stato flaccido.
Terminazioni nervose somatiche mediano le sensazioni tattili, particolarmente nella zona del glande, contribuendo al piacere sessuale. La muscolatura del pavimento pelvico, in particolare i muscoli ischiocavernosi e il muscolo bulbospongioso, ha un ruolo nell’intensificare l’erezione. I muscoli ischiocavernosi si contraggono durante l’erezione, comprimendo la base dei corpi cavernosi e contribuendo a mantenere alta la pressione interna. Il muscolo bulbospongioso avvolge la base del pene e aiuta durante l’eiaculazione a spingere lo sperma lungo l’uretra.
L’erezione è un fenomeno straordinariamente complesso che coinvolge un’ampia gamma di strutture anatomiche e processi fisiologici. Dalla regolazione vascolare alla stimolazione nervosa, ogni elemento contribuisce a garantire che l’afflusso di sangue nei corpi cavernosi avvenga in modo efficiente e sicuro. Questo meccanismo riflette un equilibrio perfetto tra rilassamento e tensione, un delicato gioco tra i sistemi parasimpatico e ortosimpatico, e rappresenta la nostra capacità di rispondere in modo coordinato a uno degli impulsi più fondamentali della vita.
Il Testosterone: l’ormone del desiderio e del progresso
Dietro il complesso meccanismo dell’erezione si trova il testosterone, l’ormone maschile per eccellenza, simbolo di forza, vitalità, ambizione e desiderio. Ma la funzione del testosterone non si limita alla sfera della sessualità: è anche un potente motore del comportamento umano, un propulsore che spinge l’individuo non solo verso il piacere fisico, ma anche verso il raggiungimento degli obiettivi, il superamento delle sfide e la continua ricerca di nuove conquiste. Il testosterone alimenta il desiderio e la determinazione, rappresentando la scintilla che accende la volontà di azione, l’ambizione e la spinta verso l’ignoto.
L’erezione è solo una delle molteplici manifestazioni dell’energia generata dal testosterone: la stessa forza che rende possibile l’erezione si trasforma in uno slancio vitale, un bisogno profondo di esplorare e di lasciare un segno. È l’energia primordiale che ha portato l’uomo a solcare mari sconosciuti, esplorare nuove terre e sfidare pericoli apparentemente insormontabili. L’irrequietezza tipica dell’adolescenza maschile, caratterizzata da curiosità inesauribile e voglia di mettersi alla prova, è un riflesso di questo potente ormone che, nel suo picco, plasma la personalità e la determinazione.
Il testosterone è infatti l’impulso che ci ha condotti a costruire città, innalzare monumenti e, in tempi moderni, lanciare razzi verso la Luna e i pianeti. Questa tensione verticale dell’erezione rappresenta il desiderio di superare i limiti e guardare verso l’alto, spingendoci a esplorare l’ignoto e sfidare l’impossibile.
Il testosterone non conferisce solo forza muscolare, resistenza fisica e capacità riproduttiva, ma alimenta costantemente la nostra sete di sapere e il bisogno di vincere nuove sfide. La competizione, sia essa sportiva, lavorativa o intellettuale, è profondamente legata alla presenza di questo ormone, che determina la nostra attitudine al rischio, la volontà di emergere e la capacità di affrontare gli ostacoli. Il testosterone ha dato forma a molte delle più grandi imprese umane: le piramidi, i grattacieli, le spedizioni oltre oceano e persino le missioni nello spazio sono tutte espressioni tangibili di questa energia creativa.
Il bisogno di costruire, erigere e creare qualcosa che superi l’individuo e lasci un’impronta duratura è un riflesso di questa energia vitale. L’erezione, simbolo di fertilità e vita, è una delle manifestazioni più concrete di questa energia creatrice: una tensione verso l’unione e, allo stesso tempo, un gesto di sfida all’incompiutezza dell’esistenza. Questa visione ci permette di comprendere l’essenza dell’umanità: una costante ricerca di nuovi traguardi, una volontà di superare i propri limiti e lasciare il proprio segno.
I missili: succedaneo dell’erezione ed espressione di declino
I missili, a differenza dei razzi spaziali, metafora di esplorazione e sete di conoscenza, sono strumenti di distruzione, emblemi di un impulso distorto. Se i razzi incarnano il desiderio di scoprire e di espandere le proprie frontiere, i missili rappresentano l’opposto: una deviazione verso il dominio e la negazione della vita. In un certo senso, l’impulso che porta alla creazione e alla costruzione trova il suo contrappeso nell’impulso alla distruzione, quando l’energia creatrice viene meno. Questo fenomeno è strettamente legato al testosterone, l’ormone del desiderio e della creazione. Quando, con gli anni, i livelli di testosterone iniziano a diminuire, l’impulso vitale si affievolisce e la tensione verso la creazione può trasformarsi in una tensione verso il controllo e, in casi estremi, verso la distruzione. I missili, in questo contesto, appaiono come una compensazione per la perdita di vitalità, un tentativo di affermare potere e dominio in un momento della vita in cui la capacità di creare e generare è in declino.
I missili sono un succedaneo dell’erezione, un simbolo esterno di forza che cerca di compensare la perdita di quella forza interna, vitale e creativa. Tuttavia, il risultato non è lo stesso: mentre l’erezione è il preludio alla creazione, alla vita e alla continuità, i missili portano solo distruzione, morte e vuoto. Quando il testosterone cala, molti cercano di compensare con un potere esteriore che non ha nulla a che vedere con la vera potenza, che è la capacità di generare, creare e costruire qualcosa di duraturo e significativo. D’altra parte la guerra non è più neppere una competizione fisica e virile, un confronto corpo a corpo tra soldati, ma uno scontro a distanza, privo di contatto e mediato da strumenti distruttivi che surrogano un’energia creativa ormai spenta.
E se ci fossero più Donne nei luoghi di comando…?
…si potrebbe forse sperare in una società caratterizzata da un maggiore approccio empatico e orientata al bene collettivo. Magari Donne che nella loro vita hanno avuto la gioia della maternità.
La maternità porta con sé una prospettiva diversa sulla cura, l’educazione e la protezione, con una forte attenzione alla crescita e al sostegno reciproco.
Speriamo che anche stavolta ci salvino le Donne, come nella storia hanno sempre implicitamente o esplicitamente fatto… mentre noi continueremo a gigionare nel cambio di una sola consonante tra razzo e…
Francesco P. Bernardini, Brent Skippen, Raul Cetto, Mariana Calomeni, Sebastian Cotofana, Simone Ugo Urso, Ferdinando Paternostro, Morris E. Hartstein Journal of Cosmetic Dermatology
The treatment of the medial infraorbital region also termed the tear trough has become increasingly popular by the use of soft tissue fillers in a minimally invasive approach using a cannula.
A total of 246 tear troughs were injected and investigated originating from 123 study participants. The clinical outcome was evaluated 6 months after the treatment by independent observers based on standardized frontal images and the procedure was documented by ultrasound imaging.
On average, 0.26 (0.1) cc [range: 0.08–0.32] of soft tissue filler material was injected per tear trough. Tear trough depth was before the treatment rated as 2.12 (0.4), whereas after the treatment it was 1.15 (0.4) (p < 0.001). Hyperpigmentation score was 2.19 (0.4) before the treatment, whereas after the treatment it was 1.31 (0.5) (p < 0.001). Intraorbital fat pseudo-prolapse severity was rated before the treatment 1.88 (0.7), whereas it was rated after the treatment 1.14 (0.3) (p < 0.001). Wrinkle severity of the lower eyelid was rated before the treatment 1.51 (0.6), whereas it was rated after the treatment 1.12 (0.3) (p < 0.001).
The results of this retrospectively investigated case series revealed that the conducted injection technique for treating the tear trough for medial infraorbital hollowing with a cannula provided statistically significant clinical improvement with a limited adverse events profile. The technique utilized an injection approach which was perpendicularly oriented to the longitudinal axis of the tear trough thereby “bridging the gap instead of filling the entire valley.”
Bernardini, F., Skippen, B., Cetto, R., Calomeni, M., Cotofana, S., Urso, S., Paternostro, F. and Hartstein, M. (2024), Bridging the Gap Rather Than Filling the Entire Valley—Anatomic Insights When Treating the Medial Infraorbital Region. J Cosmet Dermatol. https://doi.org/10.1111/jocd.16582
Diogene di Sinope, vissuto nel IV secolo a.C., è uno dei più celebri filosofi della Scuola cinica. Noto per il suo stile di vita ascetico e per le sue idee provocatorie, Diogene incarnava l’ideale del vivere in accordo con la natura, rigettando le convenzioni sociali e i beni materiali.
Una delle immagini più famose è quella che lo ritrae con una lanterna accesa mentre vaga per le strade di Atene. Quando gli veniva chiesto cosa stesse facendo, rispondeva: “Cerco l’Uomo”. Con questa affermazione, Diogene intendeva denunciare l’ipocrisia e la corruzione della società, sostenendo che era difficile trovare un uomo vero, virtuoso e onesto.
Cosa vuol dire oggi essere intellettualmente onesti ? Siamo bombardati da informazioni frammentate e da opinioni polarizzate, perciò l’onestà intellettuale è un valore che assume un’importanza cruciale. Essere onesti intellettualmente significa, prima di tutto, impegnarsi a cercare e a dire la verità, anche quando questa verità appare scomoda, banale o controcorrente. È la capacità di affrontare le complessità del nostro tempo con un senso di responsabilità, riconoscendo le sfumature e evitando le semplificazioni ingannevoli.
Ad esempio, affermare che “la guerra è la morte della società civile” può sembrare una dichiarazione ovvia, quasi banale, ma è proprio nella ripetizione di queste verità fondamentali che risiede la nostra capacità di mantenere viva la coscienza collettiva. In un’epoca in cui la retorica bellica può essere facilmente strumentalizzata, ribadire l’orrore della guerra e l’urgenza della pace non è un atto di superficialità, ma un richiamo necessario alla realtà delle cose. Non dobbiamo mai smettere di ricordare che la guerra non è una soluzione, ma una ferita profonda nel soma della nostra umanità.
Allo stesso modo, riconoscere la nostra responsabilità nella crisi climatica e affermare che “tutti dovremmo preoccuparcene” è una verità che non può essere ignorata, per quanto ripetuta essa sia. L’onestà intellettuale ci impone di affrontare questa crisi con la serietà che merita, senza cadere nel cinismo o nella disperazione. Siamo tutti parte del problema, e proprio per questo dobbiamo essere tutti parte della soluzione. Non possiamo permetterci di delegare la responsabilità ad altri o di fingere che il cambiamento climatico sia un problema lontano o irrisolvibile.
Essere onesti intellettualmente oggi significa anche essere pronti a mettere in discussione le proprie convinzioni, a dialogare con chi la pensa diversamente e a riconoscere i propri errori. È un impegno verso una ricerca continua della verità, che richiede coraggio, apertura mentale e profonda umiltà. Vuol dire essere disposti sempre a imparare e a crescere, anche quando questo richiede di rivedere le proprie posizioni.
La filosofia di Diogene mirava a risvegliare le coscienze e a far riflettere sul vero significato della vita e della virtù. La sua figura è divenuta leggendaria, simbolo di ribellione contro l’ipocrisia e di ricerca della verità autentica. Diogene oggi ci direbbe che l’onestà intellettuale è una pratica quotidiana, richiede attenzione, impegno e, soprattutto, la volontà di affrontare la complessità del nostro mondo con integrità e trasparenza. In un tempo di crisi globali e divisioni profonde, essere onesti intellettualmente non è solo un dovere morale, ma una necessità urgente per la sopravvivenza della nostra umanità. Ecco perché tutti dovremmo scendere in piazza con le nostre piccole lanterne.
Togliere gli occhiali da sole quando si parla con gli altri è considerato, a ragione, un segno di buona educazione. Questo semplice gesto permette di stabilire un contatto visivo diretto, fondamentale per la comunicazione empatica. Gli occhi, infatti, leggono e trasmettono emozioni ed attenzione, e mantenere il contatto visivo aiuta a costruire una connessione profonda con l’interlocutore.
Ricorderete analogamente che, in epoca COVID, anche l’uso della mascherina riduceva la capacità di percepire le espressioni facciali, rendendo più difficile le relazioni interpersonali.
Il riconoscimento facciale basato su punti di riferimento, come il triangolo formato da occhio-occhio-naso o orecchio-orecchio-mento, è una tecnica utilizzata in molti algoritmi di visione artificiale. Gli occhi e il naso sono zone chiave del viso; gli algoritmi, come i modelli di reti neurali convolutive, individuano i punti precisi dove si trovano le pupille e la punta del naso. Similmente, gli algoritmi possono individuare le orecchie e il mento come punti di riferimento. Una volta identificati occhi, naso, orecchie e mento, questi punti vengono sfruttati per creare dei triangoli immaginari. La distanza e gli angoli tra questi punti possono essere unici per ogni individuo, quindi vengono utilizzati per creare una “firma” facciale. Poi, le misure e gli angoli dei triangoli vengono normalizzati per compensare variazioni di scala, rotazione e prospettiva. Ciò significa che il sistema è in grado di riconoscere un volto indipendentemente da quanto sia vicino o lontano o dall’angolo di vista. Se c’è una corrispondenza sufficientemente alta rispetto a volti già in memoria, il nuovo volto viene riconosciuto come appartenente a una determinata persona. Se non c’è corrispondenza, il volto può essere classificato come sconosciuto. Questa tecnica viene utilizzata in vari contesti, come il riconoscimento facciale nei sistemi di sicurezza, nelle applicazioni di autenticazione biometrica e nella sorveglianza.
Qualcosa di simile fa anche il nostro cervello, estremamente abile nell’identificare e riconoscere volti, basandosi su punti chiave come gli occhi, il naso, la bocca e la distanza tra questi. Anche se non calcoliamo esplicitamente i triangoli o le distanze, riusciamo ad analizzare automaticamente le relazioni spaziali tra questi punti. Come gli algoritmi di riconoscimento facciale, anche il cervello utilizza le proporzioni tra i diversi elementi del volto (ad esempio, la distanza tra gli occhi e il naso o tra le orecchie e il mento) per distinguere un volto da un altro. Questa analisi avviene in una regione chiamata area fusiforme dei volti (FFA), che è specializzata proprio nel riconoscimento facciale. La Fusiform Face Area si trova nel giro fusiforme, nella parte inferiore del lobo temporale, lungo la superficie ventrale di entrambi gli emisferi, ma è spesso più attiva nell’emisfero destro. E’ specializzata nel riconoscimento dei volti e nella discriminazione di caratteristiche facciali, giocando un ruolo cruciale nella nostra abilità di identificare e ricordare volti familiari. Il cervello dunque immagazzina informazioni sui volti che abbiamo già visto, associandole a una memoria visiva. Quando vediamo un viso, la FFA confronta queste informazioni con quelle memorizzate per determinare se questo è familiare o meno. Tuttavia non si limita a elaborare singoli punti o proporzioni, ma utilizza sia un’elaborazione globale (l’aspetto generale del volto) sia un’elaborazione locale (dettagli specifici come un neo o una cicatrice). Questo ci rende molto efficace nel riconoscimento, anche in condizioni non ideali (ad esempio, con poca luce o visione da angoli insoliti).
Il riconoscimento facciale nel cervello umano è estremamente rapido. Entro pochi millisecondi, possiamo identificare se un volto è familiare, se appartiene a una certa età o sesso, e anche riconoscere espressioni facciali che indicano emozioni. A differenza degli algoritmi, noi siamo in grado di adattarci e apprendere continuamente. Questo significa che, anche se le proporzioni di un volto cambiano (ad esempio, a causa dell’invecchiamento), siamo ancora in grado di riconoscere la persona.
Quindi, la prossima volta che indossiamo gli occhiali da sole e vogliamo o dobbiamo incrociare lo sguardo con qualcuno, togliamoceli; dietro ogni volto c’è una storia unica da scoprire. Connettiamoci, sorridiamo e lasciamo che la nostra umanità brilli, perché, in fondo, è questo che ci rende davvero riconoscibili!
Nella figura in giallo è evidenziato il giro fusiforme. Lesioni bilaterali (ma anche solo a livello dell’emisfero destro) impediscono il corretto riconoscimento dei volti. Questo deficit è conosciuto come prosopoagnosia.
Il canto segreto dell’Amore: note di Poesia nell’eco del Tempo.
“Primizie” si presenta non soltanto come una raccolta poetica, ma come un’opera d’arte che abbraccia l’intima essenza dell’esperienza umana, elevando la parola poetica a strumento privilegiato di esplorazione e di espressione del sentimento.Antonino Marcello Pilia, con l’acume di un Artista consapevole e la delicatezza di un’anima sensibile, intesse una sinfonia di emozioni che trovano la loro culla nel vissuto quotidiano, trasfigurato dalla poesia.
Il titolo stesso, “Primizie”, evoca l’idea di un’offerta, di un dono prezioso che l’autore porge al lettore, un dono che è il frutto primigenio del suo cuore e della sua mente. Le 88 poesie che compongono la raccolta, come i tasti di un pianoforte, disegnano una melodia che è allo stesso tempo complessa e armoniosa, dove ogni nota, ogni verso, è un’esplorazione del sentimento amoroso, inteso nella sua dimensione più vasta e profonda.
Pilia, con una padronanza stilistica che tradisce un rigoroso lavoro di riflessione e di affinamento, riesce a sublimare l’esperienza individuale, trasformandola in un diario lirico che trascende il tempo e lo spazio. Ogni poesia è un frammento di eternità, in cui l’amore, sebbene ormai concluso, continua a vivere e a pulsare, reso immortale dall’arte del verso. Qui l’Amore non è mero oggetto di rappresentazione, ma si fa soggetto attivo, presenza viva che anima l’intera raccolta, conferendo ad essa una tensione emotiva che si rivela in ogni parola.
domattina non mi sveglierà il tuo bacio, ma il suo indelebile ricordo: nei miei versi è rimasto il tuo rossetto.
velluto al fianco onorato, al volto sfiorato, unguento di vita tua mano: ristoro.
Nell’ordine cronologico che l’Autore ha scelto per disporre le sue composizioni, si percepisce una chiara volontà di tracciare un percorso, una narrazione che accompagna il lettore lungo le tappe di un viaggio esistenziale. Questo percorso, tuttavia, non è lineare, ma piuttosto un ritorno continuo sul medesimo punto: il cuore dell’esperienza amorosa, che viene rielaborata e ripensata attraverso la lente del presente.
La lingua di Pilia, semplice ma carica di suggestioni, risponde perfettamente alla sua poetica. Egli non cerca l’artificio retorico né la sperimentazione formale fine a sé stessa, ma punta alla verità del sentimento, alla sincerità dell’espressione. Ecco allora che i suoi versi, pur nella loro apparente semplicità, si rivelano densi di significati, capaci di toccare le corde più intime dell’animo umano.
In questa raccolta, Pilia si dimostra un autentico Poeta nel senso crociano del termine: egli è capace di dare forma all’indistinto, di trasformare l’esperienza soggettiva in un’opera d’arte universale, che parla al cuore di ogni lettore. “Primizie” è, dunque, non solo un prezioso scrigno di ricordi e sensazioni, ma una testimonianza della potenza della poesia, che si fa eco del passato e promessa del futuro, in un perpetuo dialogo con l’eterno.
In definitiva, “Primizie” è un’opera che va oltre la mera lettura: è un’esperienza da vivere, un viaggio interiore che invita il lettore a riflettere sul senso della vita, sull’Amore e sul potere redentore della Poesia. Antonino Marcello Pilia, con la sua raccolta, ci regala una vera e propria sinfonia lirica, in cui la parola diventa musica e la Poesia diventa vita.
RICORDI DI VITA, 4 di Luigi Paternostro (Edizioni Phasar, Firenze 2024) è un affascinante viaggio attraverso le memorie e le tradizioni, molte delle quali quasi dimenticate, di un piccolo borgo calabro, Mormanno, nel cuore del Parco del Pollino. Anche questo volume, il quarto della serie, è un vero e proprio tesoro culturale; l’Autore esplora e condivide una vasta gamma di emozioni attraverso liriche e racconti.
La sezione “Bolle di sapone” ci regala un’intima raccolta di poesie divisa in due parti: una dedicata ai canti giovanili e l’altra a riflessioni più mature, dove le illusioni spesso cedono il passo a una visione più realistica della vita. Le poesie, a suo tempo commentate anche dal compianto amico prof. Luigi Maradei, risuonano come un canto nostalgico e profondo, che invita alla riflessione.
La seconda parte del libro, “Racconti e memorie del loco natio,” è una raccolta di storie che affondano le radici nella storia del Paese, ricostruendo, con una narrazione vivida e dettagliata, atmosfere e vicende del passato. Qui l’Autore riesce a catturare l’essenza della vita di comunità, trasmettendo un senso di appartenenza e di continuità culturale.
Non manca un’ulteriore sezione, un’appendice al “Vocabolario dialettale,” che arricchisce l’opera di un elemento linguistico prezioso. Questo glossario, iniziato nel 1985 con “Gli alti bruzi e il loro linguaggio,” rappresenta un tentativo appassionato di preservare il dialetto locale. È un ulteriore approfondimento di una ricerca infinita e accurata per raccogliere e documentare parole che altrimenti rischierebbero di perdersi, elevandole a veri e propri monumenti linguistici. Ogni termine registrato diventa una pietra miliare nella conservazione della memoria e dell’identità del territorio.
Infine, la quarta parte del libro offre sei momenti supplementari che completano la serie “Ricordi di vita magistrale,” consolidando il lavoro dell’autore come un archivio di memorie personali e collettive. Questi momenti sono profondamente legati all’esperienza di Luigi Paternostro come insegnante e poi come direttore didattico. Le memorie raccolte riflettono non solo le sue esperienze personali nell’ambito educativo, ma anche le interazioni con Allievi, Colleghi e la Comunità scolastica. Il risultato è un affresco dettagliato e commovente del suo impegno nel mondo dell’istruzione, che offre uno sguardo intimo e significativo sulla vita scolastica e sulla sua evoluzione nel tempo.
Luigi Paternostro riesce con maestria a trasformare le sue esperienze di vita e le memorie raccolte in un’opera che non è solo un documento storico, ma anche un omaggio sentito e sincero alla sua terra e alla sua gente.
RICORDI DI VITA, 4 è un’opera che tocca il cuore, una celebrazione della cultura e delle tradizioni. È un libro che va oltre il semplice ricordo, diventando una vera e propria dichiarazione d’amore per una comunità. Consigliato a chiunque voglia scoprire il valore delle proprie radici e assaporare (o riassaporare) l’importanza della Memoria.
Le Tre Età della Donna (The Three Ages of Woman) di Gustav Klimt è un’opera del 1905. Rappresenta tre figure femminili che incarnano le diverse fasi della vita: l’infanzia, l’età adulta e la vecchiaia. Klimt, utilizzando, lamine d’oro e intricati motivi decorativi, conferisce una qualità lussuosa e ricca all’opera, esplorando temi come la bellezza, il tempo e la nostra transitoria natura. Particolare è l’attenzione ai dettagli anatomici, che integrano lo stile decorativo e simbolista.
La figura della Bambina è rappresentata in una posa di sonno, con il corpo rannicchiato e la testa appoggiata sulla spalla dell’adulta. Il corpo è morbido, piccolo, con braccia e gambe che esprimono l’innocenza e la delicatezza dell’infanzia. Le proporzioni sono realistiche, ma con un tocco di “tenerezza” che enfatizza la vulnerabilità.
La Donna rappresenta il culmine della bellezza e della vitalità. È raffigurata in piedi, con una postura elegante e serena. Le sue braccia sono rilassate lungo il corpo, con una mano che sembra sostenere la testa della bambina. La forma del corpo è snella e aggraziata, fatta di linee morbide che ne delineano i contorni. La pelle è luminosa e liscia, e il viso esprime tranquillità e riflessione. Il collo lungo e i capelli fluenti aggiungono un tocco di grazia e bellezza classica.
La figura dell’Anziana è rappresentata in una posizione curva, con il capo abbassato e le mani che si coprono il volto, esprimendo forse vergogna o tristezza. Il corpo è magro e rugoso, con segni evidenti di invecchiamento: la pelle è olivastra e cadente, le ossa prominenti e le vene superficiali visibili (del piede, della gamba, della mano, dell’avambraccio e del collo). La schiena curva e l’atteggiamento chiuso suggeriscono la fragilità e il peso degli anni. I capelli grigi sono disordinati. È evidente il contrasto tra la freschezza della giovinezza e l’usura della vecchiaia.
Le figure sono immerse in uno sfondo ricco di motivi decorativi, che aggiungono un ulteriore strato di significato e bellezza all’opera, invitando lo spettatore a riflettere sulle connessioni tra la natura e il ciclo vitale.
Nella porzione in alto a destra si possono notare strutture che potrebbero ricordare cellule viste al microscopio: cerchi sovrapposti o adiacenti, con nuclei o strutture interne, grandi e vitali. Klimt era noto per l’inclusione di dettagli ornamentali complessi nei suoi lavori, spesso ispirati a motivi naturali e organici. Questi dettagli possono avere diverse interpretazioni simboliche, come la rappresentazione dell’infinito, della vita, della crescita o della fertilità. Se fossero cellule, base della nostra biologia, potrebbero suggerire una connessione con la nascita o l’inizio della vita, collegando simbolicamente la figura della bambina alla generazione della vita a livello microscopico. Le “cellule”, in basso e a sinistra, cambiano tono di colore, diventano più piccole e invecchiate, prossime alla morte forse, quelle su fondo nero.
Permettete infine tre “voli” pindarici:
Le cellule piramidali della corteccia cerebrale furono osservate per la prima volta nel 1875 dal neuroanatomista spagnolo Santiago Ramón y Cajal. Utilizzando la tecnica di colorazione di Golgi, Cajal fu in grado di visualizzarle e descriverle dettagliatamente, contribuendo significativamente alla comprensione della struttura e della funzione del sistema nervoso. Le cellule piramidali della corteccia prerolandica sono alla base del movimento, e per noi il movimento è vita. Cosa vedete nella parte in basso a destra del dipinto?
Il drappo che avvolge, lievemente, le gambe della Donna e della Bimba è “la spirale della vita”? Questo è un simbolo antico e universale, utilizzato in tutte le epoche per rappresentare la crescita, l’evoluzione e il ciclo continuo dell’esistenza. Spesso simboleggia anche il percorso di sviluppo personale e spirituale, il movimento attraverso le diverse fasi del nostro tempo e l’interconnessione tra tutte le forme di vita.
E, infine, mi piace immagina un “codice binario” (alla Matrix, per chi ama il genere) nelle ampie parti destre e sinistre del quadro, che forse non sono un mero riempitivo grafico. Il “volo” è troppo arduo?
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. A Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria , fino al 15 settembre
Niccolò Fagni, Ferdinando Paternostro, Jacopo Junio Valerio Branca, Lorenzo Salerni, Marco Mandalà.
The Bell’s palsy was firstly described about two century ago by the neuroanatomist Charles Bell. This paralysis affects the VII cranial nerve and, up to date, the aetiology of the disease appears to be multifactorial.
In the present manuscript, focusing on the anatomical structures related to the VII nerve, such as its the stapedial muscle innervation, we highlight the role of impedance testing as a helpful examination for the facial nerve function, together with its role as effective and safe prognosis in Bell’s palsy by the stapedial reflex.
Le foto che potrete sfogliare in questo libro derivano da miei laboratori di Anatomia settoria (Anatomy Lab) realizzati a Verona pressoICLO, Teaching and Research Center. Qui è possibile studiare su preparati anatomici fresh frozen grazie al supporto della Nicola’s Foundation Onlus, che da sempre incentiva lo studio e la formazione in ambito medico scientifico.
Sono profondamente grato a tutto lo staff ICLO per la fondamentale ed efficiente disponibilità tecnica, amministrativa e logistica e al Dott. Gianni Sereni che, fin dal suo nascere e con lungimirante intuito, ha esaltato un progetto di formazione nazionale hands on, di alta qualità ma dai costi contenuti, poiché fondamentalmente rivolto a studenti universitari di indirizzo medico-sanitario.
Le immagini immortalate dal Dott. Carlo Benedini sono state realizzate, in questo ambito, con il supporto essenziale della dr.ssa Cristiana Veltro e del dott. Francesco Potenza competenti, appassionati e abili dissettori, che hanno condiviso con me l’esperienza delle prime edizioni di un progetto oggi fecondo anche grazie alla loro bravura e dedizione.
Durante le mie lezioni al tavolo cerco sempre di incrociare ed esplicitare ai discenti concetti di Anatomia palpatoria, topografica e sistematica con quanto il preparato “autonomamente” descrive. Molto spesso, poi, abbiamo la sorte di imbatterci in varianti anatomiche; tale esperienza è di grande valore per l’operatività nelle discipline chirurgiche, unitamente alla dimostrazione delle principali vie di accesso alle singole strutture e agli organi.
Le più moderne tecniche di imaging e le sofisticate metodiche operatorie illustrano con precisione e perizia tanti aspetti dell’Anatomia, ma non possono sostituire l’esperienza diretta sul cadavere, pratica antica ma fondamentale anche oggi nella formazione di studenti, specializzandi, specialisti.
Carlo, egregio fotografo e appassionato anatomista, è riuscito con i suoi scatti a mescolare meraviglia, arte e rigore didattico, che ho provato a chiosare con le didascalie che completano le 516 pagine del libro.
Grazie al Prof. Alessandro Palazzolo per la preziosa e affettuosa presentazione e per gli incoraggiamenti che non sono mai mancati in corso d’opera. Grazie al Dott. Nicola Piccin che ha creduto nella originalità del nostro lavoro e a tutti coloro che hanno seguito il non semplice iter della realizzazione tipografica.
Felice, orgoglioso e grato per aver realizzato, con Carlo, questo esclusivo e originale volume.