Il cervello umano è l’entità più complessa mai conosciuta. Ha la forma e le dimensioni di un cavolfiore, pesa poco meno di un kilo e mezzo, è costituito da 90-100 miliardi di neuroni, ciascuno dei quali è un raffinato dispositivo di elaborazione che si rapporta e interagisce anche con migliaia di altre cellule neuronali grazie a strutture specializzate, le sinapsi.
Ogni millimetro cubo si materia grigia cerebrale ha circa 4 Km di connessioni neuronali, che sono alla base dell’intricatissimo e affascinante “connettoma”, oggetto dei più moderni studi sull’encefalo che cercano oggi di mappare le oltre 600 trilioni di connessioni interneuronali.
Le molteplicità delle funzioni cerebrali, da quelle sensitive alle motorie, dall’apprendimento alla memoria, fino al pensiero e all’immaginazione dipendono da precise aree specializzate, costantemente collaboranti. Queste regioni specializzate costituiscono centri nevralgici all’interno di un complesso collegamento dinamico di reti diffuse, che coinvolgono turbinosamente, ma con logiche funzionali rigorose, aree differenti dell’encefalo.
Le molteplicità delle funzioni cerebrali, da quelle sensitive alle motorie, dall’apprendimento alla memoria, fino al pensiero e all’immaginazione dipendono da precise aree specializzate, costantemente collaboranti. Queste regioni specializzate costituiscono centri nevralgici all’interno di un complesso collegamento dinamico di reti diffuse, che coinvolgono turbinosamente, ma con logiche funzionali rigorose, aree differenti dell’encefalo.
Specializzazione e collaborazione sono i due termini che estrapolo da quello che ho capito negli anni sul nostro Sistema nervoso: mi piace pensare alla nostra Società come ad un insieme di neuroni-individui, specializzati ma sinergicamente collaboranti per un fine comune, che è quello del progresso e dell’evoluzione.
Non è sempre così, evidentemente e purtroppo, perché talvolta le singolarità prevalgono sulle orchestrazioni e molte “monadi” si convincono di essere detentori dell’onniscienza forse perché, non ritenendosi sufficientemente “appagati” della loro “specializzazione”, faticano a riconoscere quella altrui, ugualmente figlia di studio, di fatica, di esperienza, di approfondimento o riflessione lungamente distillata.
La Medicina, in particolare, è oggi quella parte dello scibile umano in cui tutti pretendono di poter dire la loro, non solo senza il rispetto delle competenze altrui ma anche senza quell’ “etica di società” (che poi diventa “economia di gruppo”) che accetta come naturale la ripartizione di compiti e ruoli, tutti diversamente ed ugualmente importanti.
Su Internet non ci sono ancora strumenti in grado di fare un ragionamento diagnostico (alcuni software lo fanno, ma per fortuna sono ancora gestiti da addetti ai lavori) o uno studio randomizzato, ma il passa parola mediatico riesce ad amplificare casi singoli, esperienze parcellari o fonti poco verificabili . Così, per esempio, chi sostiene, oggettivamente citando le fonti più accreditate, l’efficacia o la non efficacia di una certa terapia o pratica, ha lo stesso spazio e visibilità di chi argomenta, soggettivamente, il contrario.
Ecco perché condivido pienamente Isaac Asimov quando scriveva: “L’anti-intellettualismo è stato un costante tarlo che si è insinuato nella nostra vita politica e culturale, nutrito dall’idea sbagliata che democrazia significhi che la nostra ignoranza valga quanto l’altrui conoscenza.”








