OLTRE L’ANATOMIA

Il Corpo femminile raccontato come spazio biologico, fisiologico e relazionale


Immacolata Belviso, Jacopo Junio Valerio Branca, Ferdinando Paternostro, Ciro Sommella

Il Corpo della Donna è da sempre oggetto di studio, di rappresentazione, di cura e, troppo spesso, di controllo. L’Anatomia ce lo restituisce nei suoi dettagli strutturali, nei suoi cicli fisiologici, nelle sue trasformazioni. Ma una descrizione puramente morfologica, per quanto precisa, non basta a raccontarne la complessità.

Questo libro nasce dall’esigenza di andare oltre: oltre la nomenclatura, oltre lo schema, oltre la visione frammentata. Qui, il corpo femminile viene esplorato come spazio biologico, nella sua realtà concreta di tessuti, organi e funzioni e come spazio relazionale, cioè luogo di percezione, identità, piacere, vulnerabilità e incontro.

Per troppo tempo il Corpo femminile è stato osservato da fuori, studiato, giudicato, persino disegnato da mani che non gli appartenevano. Eppure, la conoscenza più profonda non viene dallo sguardo esterno, ma da quello interno: dal sentire, dall’esplorare, dal riconoscersi. Conoscere l’Anatomia del proprio corpo significa, prima di tutto, restituirgli voce. Significa capire come è fatto, come funziona, e perché alcune parti, da sempre trascurate o nominate con imbarazzo, sono in realtà centrali per il benessere, il piacere e la salute.

Prendiamo la clitoride. Per molti, per troppo tempo, è stato solo un punto, un piccolo rilievo sotto le pieghe della vulva. In realtà, è un organo complesso, profondo, ramificato, con una struttura tridimensionale che si estende lateralmente e inferiormente lungo il perineo. È formato da corpi cavernosi, crura, bulbi del vestibolo, e da un glande visibile solo in parte. È l’unico organo umano con la sola funzione di dare piacere. Non produce ormoni, non serve alla riproduzione, non si apre su nessun canale. Eppure è lì, centrale, sensibile, ricco di migliaia di terminazioni nervose, pronto a raccontare una verità: il piacere è fisiologico, sano, naturale.

E il piacere, nel Corpo femminile, non si localizza in un solo punto. Vive in una rete: nel muscolo pubococcigeo, che si contrae involontariamente nell’eccitazione; nella lubrificazione vaginale, che facilita la penetrazione e protegge la mucosa; nella vasodilatazione dei tessuti genitali, che amplifica la sensibilità. Tutto questo è regolato da un dialogo costante tra cervello, sistema nervoso autonomo e tessuti periferici. Il piacere non è “tutto nella testa”, ma non è nemmeno tutto nei genitali: è un sistema integrato, che coinvolge ormoni, neurotrasmettitori, emozioni, contesto.

La sessualità non è un atto da compiere, ma una parte dell’identità da esplorare. È relazione con sé stessi, con il proprio corpo e con l’altro. Può esprimersi in mille modi, cambiare nel tempo, adattarsi a ciò che siamo e a ciò che scegliamo di essere. In questa prospettiva, conoscere la propria Anatomia non è solo utile: è fondativo.

  • aiuta a riconoscere cosa è normale e cosa no.
  • permette di distinguere tra dolore che va accolto e dolore che va curato.
  • insegna a chiedere, a proteggerti, a scegliere.

Parlare di genitali, ormoni, utero, ovaie, mestruazione, gravidanza o menopausa non significa dunque descrivere soltanto processi fisiologici. Significa riconoscere un sapere incarnato, spesso trascurato o deformato, che riguarda la salute, l’autonomia, la sessualità e la dignità.

Anche la Medicina sta lentamente cambiando: si parla sempre più di disfunzioni sessuali femminili, di riabilitazione del pavimento pelvico, di sessualità in menopausa, di dolore vulvare, di anorgasmia, non più come difetti da correggere, ma come esperienze da comprendere e accompagnare. E tutto parte da qui: da una mappa del corpo chiara, corretta, libera da tabù.

Il linguaggio utilizzato in questo testo è rigoroso e chiaro. Le parole sono scelte per spiegare, chiarire e restituire potere alla conoscenza del corpo, senza cadere né nella semplificazione né nel tecnicismo sterile.

Il Lettore, qualunque sia il suo genere e la sua età, troverà in queste pagine una guida: non solo per sapere com’è fatto il corpo femminile, ma per capire come funziona, cosa comunica, cosa cambia, e perché tutto questo ha valore.

Conoscere il Corpo, infatti, non è mai un atto neutro: è una forma di cura, un gesto di rispetto, un esercizio di libertà.

OLTRE L'ANATOMIA
Il Corpo femminile raccontato come spazio biologico, fisiologico e relazionale

OLTRE L’ANATOMIA
Il Corpo femminile raccontato come spazio biologico, fisiologico e relazionale
Youcanprint – Ebook
ISBN: 9791224026563

Gli Autori
Immacolata Belviso
Professoressa Associata di Anatomia, Umana Università Telematica Pegaso 

Jacopo Junio Valerio Branca
Ricercatore, Università degli Studi di Firenze

Ferdinando Paternostro
Professore Associato di Anatomia Umana, Università degli Studi di Firenze

Ciro Sommella
Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Direttore UOC Ginecologia e Ostetricia Arezzo


A CHE TITOLO…

Nei social la Medicina è diventata conversazione pubblica. È un bene: più voci significano più domande, più idee, più occasioni di spiegare in chiaro ciò che spesso resta chiuso in aule universitarie e riviste specialistiche. È anche un rischio: quando si parla di salute, l’autorevolezza non può essere un filtro vintage né un pretesto per zittire; ma non può nemmeno essere sostituita da like, carisma o storytelling. La domanda, allora, è semplice e decisiva: a che titolo uno parla?

I social hanno accorciato le distanze tra chi cura, chi studia e chi vive la malattia. Hanno dato spazio a intuizioni, a critiche utili, a prospettive dal letto del paziente o dal laboratorio. Hanno costretto esperti e istituzioni a essere più comprensibili, a farsi verificare in tempo reale. La conoscenza si muove meglio quando è sfidata.

La stessa forza che accelera il dibattito accelera anche l’errore: semplificazioni, aneddoti travestiti da prove, conflitti d’interesse non dichiarati, “guru” che invadono campi in cui non hanno formazione. In sanità, l’errore non è solo intellettuale: può cambiare comportamenti, terapie, esiti.

“A che titolo”: la carta d’identità di chi parla

Valutare la competenza di una voce non è snobismo: è tutela del pubblico. I “titoli” non sono soltanto i gradi appesi al muro; sono strati di responsabilità verificabili. Senza pretesa di completezza, ecco quali contano davvero (e perché):

  • Istruzione: laurea pertinente, riconoscimento del titolo (se estero). Dice dove è iniziata la competenza.
  • Post-laurea: specializzazione/board, master, dottorato. Dice quanto è profonda e in quale area.
  • Esperienza clinica: anni di pratica, casistica documentabile, ruolo di responsabilità (ambulatorio, reparto, sala operatoria). Dice se quella competenza è stata messa alla prova sui pazienti.
  • Esperienza didattica: insegnamento formale, tutoraggio, produzione di materiali educativi. Dice se chi parla sa spiegare e aggiornarsi.
  • Ricerca e pubblicazioni: articoli peer-reviewed, atti di congresso, capitoli di libro, linee guida a cui ha contribuito, non solo l’h-index. Dice se le idee sono passate dal vaglio dei pari.
  • Brevetti e trasferimento tecnologico: innovazione sì, ma con dichiarazione dei conflitti d’interesse.
  • Partecipazione a trial e comitati etici: conoscenza del metodo e delle regole che proteggono i pazienti.
  • Iscrizione all’Ordine/Albo e certificazioni: la cornice deontologica.
  • Formazione continua (ECM/CME): la manutenzione della competenza.
  • Trasparenza: conflitti d’interesse, sponsorizzazioni, link alle fonti, data di aggiornamento.
  • Campo specifico: la competenza è locale, non universale. Un eccellente cardiologo non è automaticamente un’autorità in nutrizione o oncologia.
  • Prove citate: uso corretto della gerarchia dell’evidenza (revisioni sistematiche e RCT prima degli aneddoti) e capacità di distinguere opinione da fatto.
  • Esperienza vissuta (paziente/caregiver): non è un titolo clinico, ma porta un sapere essenziale. Deve convivere con i dati, non sostituirli.

Questi elementi non servono a creare caste, ma a rendere leggibile l’affidabilità. È la differenza tra un profilo che dichiara: “Sono medico, specialista in X, insegno Y, ecco le mie pubblicazioni e i miei conflitti” e uno che si presenta come “esperto di salute” senza coordinate.

Le conseguenze (pratiche) per tutti

Per chi comunica: dichiarare subito il proprio perimetro (“Parlo in qualità di… in questo specifico ambito… ecco le fonti”). Separare divulgazione da consulenza individuale. Correggere pubblicamente gli errori. Rifiutare sponsorizzazioni che confondono il messaggio, o almeno dichiararle in modo evidente.

Per le piattaforme: premiare la trasparenza dei profili (una sorta di bollino di competenza basato su titoli verificati e disclosure), penalizzare chi spaccia opinioni per linee guida, rendere facile linkare articoli e linee guida originali. L’algoritmo oggi misura attenzione; dovrebbe misurare anche affidabilità.

Per Ordini, Università, Società scientifiche: portare la formazione alla comunicazione nel curriculum sanitario; pubblicare elenchi pubblici e chiari di specialisti e incarichi; offrire fact-checking agile quando scoppia una controversia virale.

Per i media: nelle interviste chiedere sempre “a che titolo” e mostrarlo a schermo. Contestualizzare le prove, riportare le incertezze, evitare il ping-pong artificiale tra opinioni minoritarie e consenso scientifico.

Per il pubblico: cinque domande lampo prima di fidarsi:

  1. Chi sei esattamente e in quale campo lavori?
  2. Che prove porti e di che livello sono?
  3. Hai conflitti d’interesse?
  4. C’è consenso o stai proponendo un’ipotesi?
  5. La tua affermazione è aggiornata e verificabile?

La posta in gioco

Non si tratta di mettere o rimettere i “camici” su un piedistallo. Si tratta di riconoscere che, in sanità, la libertà di parola convive con la responsabilità della prova. I social hanno aperto la porta: teniamola aperta, ma con un cartello chiaro sopra la maniglia. C’è scritto “A che titolo?”. Chi sa rispondere, entri. Gli altri, studino, dichiarino i limiti, portino dati. È così che la conversazione pubblica diventa cura, e non rumore.

La voce tenace della memoria: Luigi Paternostro e la forza di un’eredità viva

C’è chi, nella terza o quarta età, si ritira in silenzio e chi, invece, con la stessa determinazione di sempre, continua a seminare cultura, affetti e memoria come se il tempo non potesse fermarlo. Luigi Paternostro, con lucidità e passione che sfidano ogni convenzione anagrafica, ha trascorso l’intero l’ultimo anno a lavorare a due opere che oggi vedono finalmente la luce:
Gli Alti Bruzi e il loro linguaggio. Dizionario etimologico del dialetto di Mormanno e
Ricordi di vita, volume quinto.

Il primo libro è il frutto di una dedizione straordinaria, che ha attraversato l’intera esistenza dell’Autore: quella per il dialetto di Mormanno, il suo paese d’origine, e per il mondo che vi si riflette. Non si tratta di una semplice raccolta di parole, ma di un vero e proprio monumento alla cultura popolare. Il dialetto studiato e custodito da Paternostro è quello in uso in una particolare area geografica a cavallo tra Calabria e Basilicata fino alla fine del Novecento, oggi ormai in disuso, travolto dalla modernità e dall’erosione generazionale. Ma grazie alla sua opera, quel patrimonio sonoro e umano non andrà perduto: resterà lì, inciso in ogni lemma, come una pietra miliare nel variegato paesaggio glottologico del Sud.

Il secondo volume, quinto di una serie iniziata nel 2019, continua il racconto della vita vissuta e osservata con uno sguardo insieme affettuoso e rigoroso. Ricordi di vita è il titolo, ma anche la missione. Perché non si tratta solo di memorie personali: è la memoria collettiva di un Paese, di una comunità aggrappata alla propria identità con ostinazione e orgoglio, nonostante lo spopolamento, le partenze, e il lento, inesorabile passare del tempo. Il tono è sempre lo stesso: sobrio, essenziale, ma profondamente vero. Ogni pagina conserva il calore di una voce narrante che non si è mai spenta, e che anzi si fa più limpida e necessaria proprio ora che tutto sembra destinato a scomparire.

Luigi Paternostro scrive come chi sa che il tempo è un bene prezioso, ma anche come chi non si è mai fermato a fare i conti con l’età. Nei suoi libri, si avverte la tensione di un uomo che ha scelto di essere testimone, e non solo di ciò che ha visto, ma anche di ciò che potrebbe svanire per sempre se non raccontato. I suoi lettori – compaesani, studiosi, semplici appassionati – troveranno in queste ultime due opere non solo un’eredità culturale, ma anche un esempio straordinario di fedeltà, rigore e amore.

In un’epoca in cui la memoria spesso si dissolve nella velocità, Luigi Paternostro ci insegna che la scrittura può ancora essere un atto di resistenza, affetto e verità.


Ricordi di vita (Vol. 5)
EDIZIONI PHASAR, Firenze 2025

Gli Alti Bruzi e il loro linguaggio.
Dizionario etimologico del dialetto di Mormanno corredato da storia e tradizioni 
EDIZIONI PHASAR, Firenze 2025

LUIGI PATERNOSTRO: una vita di studio, ricerca e condivisione
Vita e pubblicazioni (molte liberamente fruibili on line)
PAGINA FACEBOOK

Le tue labbra … (sono il centro del mondo)

Erick Sola, è il nome d’arte di Federico Sola, originario di Mormanno, in provincia di Cosenza.
Artista musicale ispirato, da adolescente inizia a suonare e a cantare; da ragazzo si trasferisce a Bologna per studiare e dedicarsi completamente alla musica.
Cantautore e chitarrista acustico, ha all’attivo diversi album e singoli tra cui Tipo Reggae (2022), Distante (2021), Dammene ancora un po’ (2023), Forse parlo troppo di me e Hangover (entrambi 2024).

C’è Spotify per ascoltarlo…!

Molto introspettivo, racconta di considerare la musica “come un amico” capace di comprenderlo più di molte persone.
Eick preferisce esibirsi in strada, dove il contatto con il pubblico è diretto e autentico: considera le piazze di Bologna il suo vero palco, un luogo dove ogni emozione arriva “cruda” e immediata. La musica per lui è anche una sorta di terapia personale: dopo un periodo difficile, suonare per le persone è stata una forma di guarigione, trasformando l’arte in dialogo e condivisione.
Nei suoi testi si alternano momenti nostalgici, riflessioni sull’identità, l’incertezza del futuro e un’attitudine libera e spontanea. Il suo stile è spesso descritto come “cantautorato indie pop” con influenze rock e atmosfere emotive e sincere.

Qualche mese fa, per la Donna che amo, ho scritto un testo che mi è subito parso adatto a essere trasformato in canzone. Così è stato, grazie alla musica, all’interpretazione e all’arte di Erick !

C’è una linea dolce che
ti disegna il viso,
come un confine che
mi fa sognare, mi invita a sognare.

Le tue labbra morbide,
sono proprio dove il tempo
si ferma a guardare te
Quando sorridi, il mondo tace,

tutto resta attorno a
Quel tuo gesto lieve.
Io mi perdo e mi ritrovo,
come se il cuore trovasse un sentiero


Le tue labbra
sono il centro del mondo,
dove ogni mio pensiero
torna a casa.
Nel loro disegno
il mio rifugio profondo,
Sai, mi basta
un tuo respiro,
e tutto il resto
scompare pian piano.
Le tue labbra sono il centro del mondo,
e io ci vivo, e io ci rimango.


I tuoi occhi sembrano
un cielo sereno
i capelli danzano intorno al tuo viso
mi accenni un sorriso

La tua voce mi sfiora
lievemente l’anima
è un sussurro dolce che accende il destino,
dove mi perdo ma poi mi avvicino.

Le tue labbra
sono il centro del mondo,
dove ogni mio pensiero
torna a casa.
Nel loro disegno
il mio rifugio profondo


Non c'è distanza che possa spostarmi,
non c'è  spazio e tempo che sappia ingannarmi.
È nel tuo sorriso che trovo il mio nome,
E’ nelle tue labbra che trovo il mio cuore.

Le tue labbra…
sono il centro del mondo.
Per come siamo adesso
Dove tutto è canzone, dove trovo me stesso.

From Myofascial Chains to the Polyconnective Network: A Novel Approach to Biomechanics and Rehabilitation Based on Graph Theory

Dalle catene miofasciali alla rete policonnettiva: un approccio innovativo alla biomeccanica e alla riabilitazione basato sulla teoria dei grafi

Daniele Della Posta, Immacolata Belviso, Jacopo Junio Valerio Branca, Ferdinando Paternostro and Carla Stecco.

In recent years, the concept of the myofascial network has transformed biomechanical understanding by emphasizing the body as an integrated, multidirectional system.
This study advances that paradigm by applying graph theory to model the osteo-myofascial system as an anatomical network, enabling the identification of topologically central nodes involved in force transmission, stability, and coordination. Using the aNETomy model and the BIOMECH 3.4 database, we constructed an undirected network of 2208 anatomical nodes and 7377 biomechanical relationships.
Centrality analysis (degree, betweenness, and closeness) revealed that structures such as the sacrum and thoracolumbar fascia exhibit high connectivity and strategic importance within the network. These findings, while derived from a theoretical modeling approach, suggest that such key nodes may inform targeted treatment strategies, particularly in complex or compensatory musculoskeletal conditions. The proposed concept of a polyconnective skeleton (PCS) synthesizes the most influential anatomical hubs into a functional core of the system.
This framework may support future clinical and technological applications, including integration with imaging modalities, real-time monitoring, and predictive modeling for personalized and preventive medicine.

Negli ultimi anni, il concetto di rete miofasciale ha trasformato la comprensione biomeccanica, mettendo in risalto il corpo come un sistema integrato e multidirezionale.
Questo studio porta avanti tale paradigma applicando la teoria dei grafi per modellare il sistema osteo-miofasciale come una rete anatomica, permettendo l’identificazione di nodi topologicamente centrali coinvolti nella trasmissione delle forze, nella stabilità e nella coordinazione.
Utilizzando il modello aNETomy e il database BIOMECH 3.4, abbiamo costruito una rete non direzionale composta da 2208 nodi anatomici e 7377 relazioni biomeccaniche. L’analisi della centralità (grado, intermediazione e prossimità) ha rivelato che strutture come il sacro e la fascia toracolombare presentano un’elevata connettività e un’importanza strategica all’interno della rete.
Questi risultati, sebbene derivati da un approccio di modellizzazione teorica, suggeriscono che tali nodi chiave possano orientare strategie terapeutiche mirate, soprattutto nei casi complessi o compensatori del sistema muscoloscheletrico. Il concetto proposto di scheletro policonnettivo (Polyconnective Skeleton, PCS) sintetizza i nodi anatomici più influenti in un nucleo funzionale del sistema.
Questo quadro teorico potrebbe sostenere future applicazioni cliniche e tecnologiche, inclusa l’integrazione con tecniche di imaging, il monitoraggio in tempo reale e la modellizzazione predittiva per una medicina personalizzata e preventiva.


DALLA PRESENTAZIONE DELL’ARTICOLO DEL DR. DANIELE DELLA POSTA

PCS e comunicazione morfologica: due chiavi per leggere (e trattare) il corpo come una rete intelligente.

E’ uscito proprio oggi un nostro ultimo studio pubblicato su Life https://doi.org/10.3390/life15081200 dove abbiamo introdotto il concetto di Polyconnective Skeleton (PCS): un insieme di strutture centrali come il sacro, la fascia toraco-lombare e altri snodi anatomici che agiscono come veri e propri hub nella rete corporea. Non si tratta solo di anatomia: questi elementi sono strategici perché regolano la trasmissione delle forze e l’organizzazione dei movimenti a livello sistemico.

Attraverso un modello di rete (BIOMECH 3.4), abbiamo mappato oltre 7000 connessioni anatomiche, scoprendo che alcune di esse — il PCS, appunto — hanno un peso centrale nel mantenimento dell’equilibrio dinamico del corpo. Quando queste strutture sono in sofferenza o compromesse, tutto il sistema diventa meno efficiente, meno coordinato, più soggetto a dolore e disfunzioni.

Ma la vera svolta sta nel paradigma della comunicazione morfologica: l’idea che il corpo non si limiti a muoversi, ma a comunicare attraverso le sue forme. Il modo in cui una tensione si propaga, il modo in cui una spinta si redistribuisce lungo le fasce, o come una struttura reagisce a una perturbazione, ci parla di un’intelligenza distribuita nella materia stessa del corpo. Non è solo meccanica: è senso, coerenza, adattamento.

Capire il PCS significa allora avere una mappa dei punti più influenti del sistema, ma è solo attraverso la comunicazione morfologica che possiamo interpretarla in tempo reale nel gesto clinico. È qui che entrano in gioco le Kinematic Networks Technique (KNT): tecniche pensate per interagire con la rete, più che con il singolo distretto, e che si basano sulla risposta adattativa del corpo, non sulla correzione imposta.

Integrare PCS e comunicazione morfologica nel lavoro clinico significa muoversi con più consapevolezza, trattare in modo più efficace, e soprattutto rispettare la natura relazionale e intelligente del corpo umano.


Posta, D.D.; Belviso, I.; Branca, J.J.V.; Paternostro, F.; Stecco, C.
From Myofascial Chains to the Polyconnective Network: A Novel Approach to Biomechanics and Rehabilitation Based on Graph Theory. 
Life 202515, 1200. https://doi.org/10.3390/life15081200

aNETomy, the anatomical network è la pagina di riferimento di questa ricerca

Visual Thinking Strategies for medico-anatomical teaching and rheumatological diagnostics: the case of M. L. Greville Cooksey’s Maria Virgo (1915)

Quanto è  utile lo studio diagnostico di personaggi immaginari o rappresentazioni artistiche, applicando il rigore metodologico della medicina clinica?

In altre parole, è didatticamente efficace tentare di formulare una diagnosi  su personaggi letterari o come nel caso trattato nell’articolo, figure dipinte in opere d’arte?

Questo articolo esplora l’applicazione delle Visual Thinking Strategies (VTS) nell’insegnamento medico-anatomico e nella diagnostica reumatologica, dimostrandone l’efficacia.

Tale pratica, infatti, serve ad allenare l’osservazione medica, sviluppare il pensiero critico e la discussione clinica, stimolando lo studente a formulare ipotesi, diagnosi differenziali e ragionamenti, anche in assenza di anamnesi e sintomi dichiarati. Inoltre ha il pregio di integrare medicina, arte e cultura umanistica.

Il metodo viene impiegato nel corso di Medicina dell’Università di Firenze in un caso studio che riguarda il dipinto Maria Virgo (1915) della pittrice preraffaellita May Louise Greville Cooksey.
L’analisi interprofessionale dell’opera, che ritrae una Madonna con mani nodose, ha portato a una discussione clinica sulle possibili diagnosi: artrosi nodulare, artrite reumatoide, xantomatosi, reticoloistiocitosi multicentrica e knuckle pads.
Quest’ultima è risultata l’ipotesi più plausibile.

I noduli fibrotici dorsali delle nocche (knuckle pads) sono lesioni benigne, dure, tondeggianti, non dolorose, situate soprattutto sul dorso delle articolazioni interfalangee prossimali e, meno frequentemente, metacarpofalangee. Sono formate da tessuto fibrotico sottocutaneo e possono essere associate a patologie fibrosanti come la contrattura di Dupuytren, oppure essere idiopatiche. Non alterano la funzionalità articolare e non sono infiammatorie. Istologicamente mostrano ipercheratosi, acantosi e proliferazione fibroblastica.

L’articolo sottolinea come l’integrazione tra arte e medicina, attraverso la VTS, favorisca nello studente lo sviluppo del cosidetto occhio clinico, indispensabile nella pratica medica.


Lippi, D., Cammelli, D., Zucchini, E., Vignozzi, L., Galassi, F. M., Belviso, I., Paternostro, F. & Varotto, E. (2025).
Visual Thinking Strategies for medico-anatomical teaching and rheumatological diagnostics: the case of M. L. Greville Cooksey’s Maria Virgo (1915).
Italian Journal of Anatomy and Embryology 129(1): 3-8. doi: 10.36253/ijae-16176

POESIE FAVOLOSE

dalla Prefazione, di Francesco Zanoncelli

“…l’attesa è già amore” fine verso della raccolta magicamente poetica che ho l’onore e l’immenso piacere di commentare.

L’attesa, vissuta nel silenzio dei propri pensieri, la ritengo l’estrema ricerca della parola, che non è mai una fine, piuttosto una condizione sicuramente portatrice di Libertà e di vita. Essa è anche necessità e l’autore lo sa, perché attinge ad una conoscenza in cui il rumore, la cacofonia, la barbarie che tutto pervade, hanno preso il sopravvento. Di conseguenza, alimentando l’incapacità di realizzarlo, questo silenzio diviene un limite insormontabile, a meno che non scaturisca in noi, impellente e violento, il desiderio e il coraggio di approdare alle rive magiche e sconosciute dell’amore.

Oggi siamo in una società che parla troppo o, per eccesso opposto, si chiude nel mutismo, perché, appunto, non conosce il silenzio, per cui raramente accede alle sue pause preziose. Infatti, è proprio grazie a queste che la “parola” diviene canto, poesia, elevato carme. Non a caso, Kavakis, Rilke, Van Gog, parlano del silenzio e della solitudine in maniera sublime, affermando che è proprio questa liturgia interiore che ci darà la capacità di conoscere noi stessi e gli altri, dando ragione al principio secondo cui con le parole, quando divengono poesia, tutto si può raggiungere anche le stelle: queste pagine impresse di “magico amore”, lo dimostrano.

Leggendo il titolo di questa raccolta, un incauto lettore potrebbe male interpretarne il senso: “ma chi si crede di essere questo? Se le poesie sono favolose lo faccia dire ad altri e ponga il suo pensiero nelle mani virtuose di un’umiltà letteraria sempre più rara”.

No!

Quel “favolose” è favoloso, mai termine fu più adatto ai silenzi, alle parole, alle epifanie qui contenute, all’infinita avventura vissuta dai protagonisti, in quanto essi hanno avuto non solo il coraggio e il dono di attingere ad una favola, ma pure la capacità di realizzarla.

Le favole, appunto, quasi per convenzione, iniziano sempre con un “c’era una volta”, ma in questa occasione occorre fare un’eccezione, un necessario strappo alla regola, e pronunciare sommessamente, in quanto si tratta di un volo leggero: “C’è ora!”

Le favole da sempre incantano, ma qui, con armonia, melodia, concertazione, filigrana musicale legata ad un atto poetico fine e coinvolgente, il pentagramma si fa canto, voce e silenzio che sussurra.

“Il silenzio delle parole apre scrigni segreti”, ci narrano i due protagonisti, coinvolti nell’avventura di “Una vicinanza che li allontana”, di un ossimoro che li imprigiona in un incantesimo composto da bagliori e sfumature di luce, in cui le ombre della fata e dell’uomo che scrive, si confondono in una tavolozza pittorica di colori, senza mai comporre l’affresco del loro desiderio.

E ancora: “I nostri occhi hanno fatto l’amore prima della pelle” ci porta su di una spiaggia dorata e calda che evoca il ventre solare della poesia, mentre il suo verticale sorriso è penetrato dal raggio di un verso cantato dal poeta, affinché l’incontro non divenga ancora fuga, ma connubio di sensi, magma ancestrale di un’entità invocata, desiderata, chiamata amore.

Sì, come afferma l’autore, le fate non hanno bacchetta magica, né i poeti voce per ammaliare, ma solo versi per amare, con cui il poeta, ben ispirato da colei che abita magici boschi e cieli eterei, esprime pure il suo coraggio letterario, “avendo l’ardire” di modificare pure un testo che è pietra miliare di una lingua stupenda, il vocabolario, alleggerendo il suo ricco contenuto della congiunzione “se”, per togliere ogni dubbio non solo all’amore, ma  anche assicurare certezze ad una condizione umana che si sorregge spesso su di un precario equilibrio.

Bene.

La meraviglia di queste pagine si riassume in quel lettore che, come un bambino di fronte ad una favola particolare, realizza, ascoltando, che il mordere il cuore di un poeta è il bacio più profondo, più desiderabile.

Che è nel silenzio che si trova il coraggio delle parole aperte all’amore e che pure è terminato il tempo di leggere poesie agli alberi.

Che occorre ritrovare il desiderio di cercare “nella palude delle parole non dette” per recuperare bellezza e che pure nel tenue lume della poesia e dell’amore la notte giunge alla tenerezza dell’alba, aprendo cieli tersi non oppressi da brume.

Che l’amore è distacco, necessaria avventura “anche se mi porta altrove”.
Che il bacio è fatato.
Che al bruco “non servono ali”,
Che esistono gufi parlanti, e rovi e boschi oscuri, fiumi impetuosi, e lisce pietre, e fuochi ed ombre e spiagge dorate baciate dal sole,

Poi, come fiume in piena, le novelle continuano, narrandoci che sulla luna non sono arrivati gli astronauti con un mostro metallico, ma una fata e un poeta, a bordo di una favola che volava con le ali della poesia, realizzando, ancora, che l’amore è Libertà, perché sdogana la coscienza da ogni zavorra che limita il pensiero.

Con “Affida il tuo dolore al respiro della terra, e lei saprà trasformarlo.” ci giunge intatto l’alito della natura che poesia e magia colgono insieme.
Poi, “tra le tende smosse dal vento, // nelle lenzuola disfatte” pensiero e parola si fanno carne e volto e carezza e sorriso e respiro affrettato scomposto dall’amore.
Poi il canto della Fata, che pervade e incontra una natura intatta in un Eden privo di padrone, dove la voce diviene filigrana per giungere a chi la sa ascoltare e dove “un biglietto per il cielo” non costa niente per un poeta straordinario che riesce pure ad entrare in una valigia per poter viaggiare con la magia.

E’ proprio vero, come afferma lo scrittore e poeta polacco Stanislaw Jerzy Lec, che i poeti sono come i bambini: “quando siedono a una scrivania, non toccano terra con i piedi”.
“Specialmente quando incontrano la magia di una fata” aggiungo io.

Concludo con un pensiero dell’autore, che così definisce l’amore:
“… un miracolo che accade agli umani una sola volta nella vita. E quando accade, non ha più senso avere paura.”
Grazie Fata ! Grazie uomo che scrive!

Per sempre, Francesco


Poesie Favolose
La fata e il poeta. Il silenzio sussurra e la parola vibra. Storia d’amore allo soglia del bosco incantato 
di Ferdinando Paternostro
2025 ATS Giacomo Catalani Editore
ISBN-13 979-1280189424
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Riscaldamento climatico: quale futuro stiamo costruendo?

La soglia di 1,5 °C di aumento della temperatura media globale rispetto ai livelli preindustriali è oggi il limite critico riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale per evitare gli effetti più catastrofici del cambiamento climatico. Superarla significherebbe esporre miliardi di persone a rischi crescenti: eventi climatici estremi, innalzamento del livello del mare, crisi idriche e alimentari, perdita di biodiversità e instabilità sociale. Stabilita con forza nell’Accordo di Parigi del 2015 e ribadita nei più recenti rapporti dell’IPCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change), questa soglia rappresenta non solo un parametro climatico, ma un vero e proprio punto di non ritorno per l’equilibrio del pianeta.

Secondo il Rapporto speciale IPCC 1,5°C, per restare sotto tale soglia è necessario ridurre le emissioni nette globali di CO₂ del 45 % entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010, e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050

Il Stern Review (2006) stimava che investire tra l’1 % e il 2 % del PIL mondiale all’anno avrebbe evitato costi del cambiamento climatico pari al 5 % (e potenzialmente fino al 20 %) del PIL annuo.

L’IEA (International Energy Agency) nel suo scenario “Net Zero by 2050” indica che il comparto oil & gas deve dimezzare entro il 2030 l’intensità emissiva e ridurre del 60 % le emissioni totali del settore Servono circa 600 miliardi $ di investimenti upfront (meno del 15 % dei profitti “nascosti” del 2022) .

Consumi di petrolio: quanto bisognerebbe ridurre?

Il Comitato IPCC sul “Balanced Net Zero” propone una riduzione della domanda di petrolio dell’85 % entro il 2050

Secondo studi sul “carbon bubble”, per il 50 % di probabilità di restare sotto 1,5 °C, il 60 % delle riserve di petrolio deve rimanere nel sottosuolo

Fonti “carbon bombs” valutano che i progetti fossili pianificati possono generare emissioni corrispondenti a un decennio delle emissioni cinesi.

Dunque, per rispettare l’obiettivo 1,5 °C sarebbe necessario tagliare almeno il 60–85 % della produzione e dell’utilizzo di petrolio entro il 2050.

Accordi sul clima: perché l’economia è rimasta ai margini

Negli accordi come Parigi (2015) o quelli seguenti, si è concordato su obiettivi di riduzione (% di emissioni), ma non si sono trovati accordi solidi su strumenti economici vincolanti, come carbon tax universali, meccanismi di finanziamento e revisione fiscale.

Manca una definizione globale condivisa su:

  • Prezzo vero del carbonio (molte stime indicano 50 $/tCO₂ o più);
  • Riduzione dei sussidi ai fossili (sarebbe utile abolirli per ridurre le emissioni del 10 % entro il 2030) ;
  • Risorse per la transizione dei Paesi dipendenti dai combustibili fossili (senza adeguate politiche di diversificazione, rischiano ricadute devastanti).

Spese militari: 5 % del PIL

Di recente alla NATO è stato concordato un aumento della spesa militare al 5 % del PIL entro il 2035 (3,5 % per “hard defence”, 1,5 % per infrastrutture e cybersecurity)

L’Italia, attualmente al 2 %, si impegna a raggiungere nel 2035 il 5 %, con gradualità e modifiche normative.

Già oggi il mondo investe 2.46 trln $ in difesa (2024), con la NATO che pesa 226 Mt CO₂/anno, oltre 8 mln di auto termiche equivalenti.

 Un’analisi della NEF calcola che la spesa aggiuntiva verso il 5 % del PIL militare ammonterebbe a circa 613 miliardi€ l’anno solo per i membri UE della NATO, superando la domanda di spesa green e sociale di 375–526 miliardi€ annui.

Contraddizioni e prospettive

Le scelte economiche e politiche degli ultimi anni mostrano una serie di contraddizioni sempre più evidenti tra le dichiarazioni sul cambiamento climatico e le decisioni concrete dei governi. Da un lato, si ribadisce la necessità di ridurre drasticamente le emissioni, di investire nella transizione energetica e di salvaguardare il pianeta per le generazioni future. Dall’altro, si assiste a un massiccio spostamento di risorse verso il settore della difesa e della sicurezza, in risposta a un contesto geopolitico globale sempre più instabile.

Questa tendenza comporta conseguenze evidenti. Gli investimenti militari – che si avviano a raggiungere il 5% del PIL in molti Paesi occidentali – rischiano di sottrarre risorse proprio a quelle politiche di decarbonizzazione e riconversione ecologica che sarebbero invece urgenti e prioritarie. Si tratta di un vero e proprio cortocircuito: si moltiplicano le spese per sentirsi più sicuri in un futuro minacciato, mentre si abbandonano le misure che renderebbero quel futuro possibile e vivibile.

Non meno grave è il fatto che molti degli strumenti economici fondamentali per la transizione – come la definizione di un prezzo globale del carbonio, la rimozione dei sussidi ai combustibili fossili, o meccanismi di compensazione tra Nord e Sud del mondo – restano paralizzati da interessi divergenti e mancanza di coraggio politico. La frammentazione degli accordi internazionali sul clima riflette proprio questa incapacità di superare visioni a breve termine per costruire un’economia globale più equa e sostenibile.

Infine, mentre i governi giustificano la corsa al riarmo in nome della sicurezza futura, si ignora una verità essenziale: il peggior nemico della sicurezza globale è proprio il cambiamento climatico. Le sue conseguenze – desertificazione, migrazioni forzate, scarsità di risorse, eventi estremi – generano instabilità ben più durature e pervasive di qualsiasi minaccia bellica convenzionale.

In sintesi, ci stiamo preparando a essere più forti in un futuro che rischia di non esistere. La sfida non è soltanto tecnica o economica, ma profondamente politica e culturale: scegliere tra il rafforzamento dell’apparato bellico e la costruzione di una pace climatica duratura.

REFERENZE

IPCC (2018). Special Report: Global Warming of 1.5 °C. Intergovernmental Panel on Climate Change.
https://www.ipcc.ch/sr15/

Stern, N. (2006). Stern Review: The Economics of Climate Change. HM Treasury.
https://en.wikipedia.org/wiki/Stern_Review

International Energy Agency (IEA). Emissions from Oil and Gas Operations in Net Zero Transitions.
https://www.iea.org/reports/emissions-from-oil-and-gas-operations-in-net-zero-transitions

IEA (2021). Net Zero by 2050: A Roadmap for the Global Energy Sector.
https://www.iea.org/reports/net-zero-by-2050

Carbon Tracker Initiative. Unburnable Carbon: Are the world’s financial markets carrying a carbon bubble?
https://carbontracker.org/reports/carbon-bubble/

The Guardian (2025). Europe’s pledge to spend more on military will hurt climate and social programmes.
https://www.theguardian.com/world/2025/jun/24/europes-pledge-to-spend-more-on-military-will-hurt-climate-and-social-programmes

Euronews (2025). NATO agrees to 5% higher defence spending target ahead of key summit at The Hague.
https://www.euronews.com/2025/06/23/nato-agrees-to-5-higher-defence-spending-target-ahead-key-summit-at-the-hague

Reuters (2025). Struggling to meet NATO goal, Italy mulls stretching defence budget.
https://www.reuters.com/world/europe/struggling-meet-nato-goal-italy-mulls-stretching-defence-budget-2025-04-04

IISS (2025). Military Balance 2025. International Institute for Strategic Studies.
https://www.iiss.org/online-analysis/military-balance/2025/02/global-defence-spending-soars-to-new-high

TIME Magazine (2022). The New IPCC Report Was Delayed As Scientists Debated Reliance On Carbon Capture.
https://time.com/6164252/ipcc-carbon-capture-climate-mitigation

Academic article (2023). Climate finance justice and oil producing countries in the Global South.
https://academic.oup.com/jiel/article/26/4/817/7425562

“Si vis pacem, para bellum” – Se vuoi la pace, prepara la guerra: un’eredità da ripensare?

Da secoli, la massima latina “Si vis pacem, para bellum” – attribuita a Vegezio, scrittore romano del IV secolo d.C. – echeggia nei manuali di strategia, nelle accademie militari, nei corridoi del potere. Letteralmente: “Se vuoi la pace, prepara la guerra”. Un principio che ha orientato la geopolitica occidentale, dalla Roma imperiale agli arsenali nucleari della Guerra Fredda, passando per le alleanze difensive moderne.

Ha funzionato?

A ben vedere, la storia offre esempi contrastanti. In alcuni casi, la deterrenza ha funzionato: l’equilibrio del terrore tra Stati Uniti e URSS, fondato sull’arsenale nucleare, ha paradossalmente evitato uno scontro diretto. Tuttavia, la corsa agli armamenti ha alimentato decine di conflitti periferici e ha drenato risorse che potevano essere destinate allo sviluppo umano.

Al contrario, nel XX secolo, due guerre mondiali sono esplose nonostante – o proprio a causa – di un crescente riarmo. Il primo conflitto fu preceduto da un’escalation di potenza navale e terrestre; il secondo nacque in un’Europa lacerata, dove la preparazione alla guerra era diventata cultura dominante. In entrambi i casi, la guerra non ha evitato la guerra.

Un nuovo paradigma?

In un mondo globalizzato, interconnesso e minacciato da crisi ecologiche, pandemie e disuguaglianze estreme, forse è tempo di interrogarsi: “Se vuoi la pace, prepara la pace”. Questa frase, apparentemente ingenua, racchiude una rivoluzione culturale. Non significa disarmo unilaterale, ma investimento sistemico nella diplomazia, nella cooperazione, nell’educazione alla giustizia sociale.

L’Unione Europea – nata dalle macerie della Seconda guerra mondiale – ha tentato, per un periodo, di incarnare questa visione: integrazione economica per scongiurare nuovi conflitti. Anche l’ONU, pur tra mille limiti, rappresenta un modello di governance globale basata sul dialogo. Eppure, oggi, la fiducia in questi strumenti vacilla. Guerre regionali, migrazioni forzate e nuove minacce digitali rimettono in discussione la validità della pace come progetto costruito.

Quale futuro?

“Preparare la pace” implica rimuovere le cause strutturali dei conflitti: povertà, sfruttamento, disuguaglianze, manipolazioni identitarie. Significa dotare le società non solo di armi, ma di giustizia, ascolto, mediazione. Non si tratta di utopia, ma di realpolitik lungimirante.

Forse, la frase di Vegezio va riletta non per essere cancellata, ma per essere completata:
“Si vis pacem, para pacem. Et si bellum times, iustitiam quaere”
“Se vuoi la pace, prepara la pace. E se temi la guerra, cerca la giustizia.”

Perché nessuna pace sarà mai duratura se fondata sulla paura anziché sulla dignità condivisa.

Fuochi sull’abisso: il fragore della festa che somiglia alla guerra

Mentre il mondo brucia sotto il fragore delle armi, noi continuiamo a festeggiare con altri botti, altri fuochi, altri rumori di esplosione. Mentre interi popoli fuggono sotto i bombardamenti, mentre missili e artiglieria devastano case e città, qui i cieli si colorano di scintille artificiali, e il suono dei petardi risuona come un’eco inconsapevole e beffarda del dolore altrui.

Ogni festa con fuochi d’artificio sembra ormai sospesa in un paradosso morale sempre più insostenibile. Da una parte, le immagini di donne, bambini e anziani che scappano dai crateri fumanti della guerra. Dall’altra, piazze gremite di spettatori che applaudono esplosioni luminose senza porsi domande. Gli stessi suoni. Le stesse luci. Ma destini opposti.

Non è solo questione di buon gusto, ma di coscienza. Non è possibile continuare a ignorare il cortocircuito etico che si crea ogni volta che, sotto cieli pacifici, riproduciamo per svago la stessa estetica della distruzione che altrove è tragedia vera. Le esplosioni per festeggiare richiamano, anche solo per suggestione sensoriale, le esplosioni che annientano vite umane ogni giorno in tante parti del mondo.

Non è retorica. È un dato concreto della realtà in cui viviamo. Mentre qui si alzano fuochi colorati in aria, il rumore cupo delle bombe si leva a poche ore di volo da noi. Mentre scattiamo foto sotto i cieli illuminati, altrove si scattano immagini di corpi senza vita, di ospedali sventrati, di case sbriciolate. Eppure sembriamo anestetizzati, indifferenti, quasi incapaci di cogliere il legame doloroso tra il nostro divertimento e l’inferno quotidiano di milioni di persone.

Ogni botto che esplode per festeggiare, in questi tempi, non può più essere considerato neutro. Ogni scintilla che accendiamo senza pensare assume, in controluce, il volto muto di chi, sotto altri cieli, muore davvero. E più continuiamo a far finta di non vederlo, più diventa colpevole il nostro silenzio.